Abuso di potere

 

Nel “Novissimo Digesto”, Quarta edizione ampliata, alla voce “Abuso del diritto” si legge che questo istituto giuridico fu considerato a lungo da giuristi di chiara fama anche internazionale una contraddizione in terminis, perché se vi è abuso non vi è nemmeno diritto e se vi è diritto non può esserci abuso. È una questione di logica elementare; ma la logica, che dovrebbe essere il pilastro del diritto, sembra esserne diventata estranea e ciò spiega, almeno in parte, la crescente fortuna dell’abuso del diritto istituzionalizzato da legislatori e giudici anche come reazione a furbeschi comportamenti degli utenti, specialmente di quelli che manifestano comportamenti sleali nell’applicazione di norme tributarie considerati lesivi degli interessi erariali, secondo una loro preminenza rispetto al diritto. Così inteso l’abuso del diritto diventa una ideologia del potere, a cui la magistratura sembra adeguarsi con facilità e in alcuni giudicati addirittura con compiacimento. Il giudice diventa così l’ago della bilancia della quaestio.

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Recita l’art. 104, comma 1, della Costituzione: “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”. Questa norma fondamentale fu l’esito di vivaci contrasti tra chi si opponeva a chiamare la magistratura “potere” e chi pretendeva di qualificarla tale. I costituzionalisti più avveduti si imposero e così fu scritto “ordine”. Quindi, ordine non è un potere e dire che la magistratura è “autonoma e indipendente” non vuol dire che possa trasformarsi in un superpotere senza regole e con diritto di autoreferenza e autolegittimazione.

Quindi “ordine” non vuol dire “potere”, ma questo a parole, perché nella storia della giurisprudenza italiana il primo è stato applicato in pratica come fosse il secondo. Se trascuriamo il diritto tributario e generalizziamo il concetto di abuso con estensione al diritto penale, non possiamo dimenticare la crescente propensione dei giudici alla interpretazione ideologica delle norme o, addirittura, a inventare reati non previsti dalla legge. L’intensificarsi di questa interpretazione ha preso avvio con la scuola delle “mani pulite”, che ha trovato la sua sintesi espressiva nell’applicazione di quel giudice milanese “rivolteremo l’Italia come un calzino” e nella tenacia di uno slogan: “resistere, resistere, resistere”, dimenticando che non spetta al giudice rivoltare calze né resistere.

Questa osservazione non significa ignorare che il giudice possa commettere errori, ma che un ordine non debba trasformarsi in potere, soprattutto non debba diventare ubriacatura di sistema.

Quindi nelle vertenze bisogna distinguere la parte politica dalla parte giuridica e quindi l’ordine non può essere strumentalizzato, anzi: “autonomo e indipendente” vuol dire sì indipendente dal governo, ma anche e in primis dalla politica e dai partiti e, altresì, deve essere non esposto ai rischi dell’incompetenza. Diversamente un “ordine” non diventa “potere”, ma disordine.