Berlusconi, con le sue fanfaronate, promesse inconsistenti e immeditate ad altri capi di stato, soprattutto parigini, ignoranza di politica economica ed economia pubblica, scambiata per quella aziendale, debolezze sottanesche ed edilizie, un merito è riuscito a conquistarselo: far emergere, con suo personale esempio, le magagne di una nazione, che può ormai riconoscersi solo nel trivio del linguaggio e nel vittimismo del premier in caduta libera, che ha dimenticato, se mai lo ha conosciuto, l’avvertimento di Giovenale nella Satira X : la plebe sequitur fortuna, ut semper, et odit damnatos (la plebe, come al solito, va dietro all’evento e odia chi è caduto).

È affiorata, in tutta la sua violenza, la lotta di “tutti contro tutti” e la corruzione generalizzata, votata alla conquista del potere e dei vantaggi economici che ne seguono. Sono vizi risalenti a prima del berlusconismo, che è solo un club di ex, inaffondabili e prolifici. Cosicché nell’epoca in cui tutto è: numero, digitale, binario e quasi cabalistico, l’ignoranza sui numeri dilaga, forse perché i numeri li danno tutti, compresi i transfiniti. Limitiamoci all’economia.

L’Italia vive sotto la spada di Damocle delle reprimenda della Ue sul debito di bilancio e dell’indebitamento pubblico, ma più ancora è succube delle minacce e dei ricatti delle agenzie di rating, al servizio della speculazione internazionale, che quando non scommette sulla vita lo fa con pari indifferenza sulla morte. È il tormento, ma anche la forza, di Tremonti, che, agitando il pericolo di una crisi del debito pubblico, trova consensi per ogni suo pervicace no. Avrebbe anche ragione, se non fosse a sua volta un meteoropatico intrigante che pretende di piazzare i suoi uomini persino al governo di Bankitalia per meglio subornare critici scomodi e condizionare un organismo non ancora rientrante nel giro istituzionale del Ministero dell’Economia. E siccome sul rischio di default ha ragione, se si vogliono abbassare le tasse e il debito pubblico continua a crescere, resta solo la strada di chiudere i rubinetti della spesa inutile: costringere i parlamentari ad andare a piedi, cancellare le costose province, sopprimere gli enti parassitari, ecc. Si dovrebbe, ma non si fa, perché non si può, quindi…non si vuole. Il ricatto del voto in parlamento è peggio del “voto di scambio” con gli elettori e, allora, non si fa niente. I numeri non si toccano, perché, come i fili dell’alta tensione, “chi tocca muore”.

Viviamo all’ombra del ricatto continuo e per una maggioranza parlamentare a tempo si deve far buon gioco alla Lega, che vuole ministeri sparpagliati e fisco locale. Ma di sopprimere la spesa inutile: niente. Dove li manderebbe la Lega i suoi ometti infilati nei consigli provinciali, negli assessorati, ecc.? Non si sono forse meritati un posto al sole, piegandosi a fare prima gli attacchini? E ora che il potere è un frutto maturo dovrebbero tornare a fare i commessi dei gazebo? Non sia mai!

Ma torniamo ai numeri. Il debito pubblico veleggia pericolosamente a 1.900 miliardi di € e non c’è bisogno di essere supereconomisti, come il Tremonti crede di essere, per realizzare che siamo sopra il livello di guardia e che il fiume in piena può esondare da un momento all’altro. Per questo, dire che si farà una riforma fiscale riducendo il numero delle aliquote senza perdere gettito è come stare al gioco dei tre bussolotti. Perché è facile prevedere almeno due fatti: a) il federalismo fiscale farà aumentare la pressione fiscale, come sta già accadendo; b) il mantenimento del gettito e il riordino delle aliquote sono in contraddizione, perché, se per dare un pugno di mosche a qualcuno bisogna spremere di più qualcun altro non si è realizzato un obiettivo serio e se a essere spremuto di più è il già percosso ceto borghese, non ci si deve stupire delle scopole elettorali. Il Tremonti non ha ancora capito che prima di riordinare le aliquote bisogna ridurre l’arroganza della pubblica amministrazione, che inveisce in modo vessatorio e provocatorio proprio contro chi fa intrapresa. Il Tremonti non ha capito che aumentare i poteri della pubblica amministrazione lasciando il contribuente senza difese significa aumentare la corruzione e la concussione. Un tempo l’Italia era un paese di ricamatrici. Che sia per questa storica tradizione che vanno sempre di moda i “pizzi”?