ECONOMIA della FIDUCIA e della SOLIDARIETÀ

 

“Il Sole-24 ORE” del 5 febbraio 2006, pubblica a pag. 35, una recensione di Stefano Zamagni al libro Economics and Social Interaction. Accounting for interpersonal interactions, curatori Benedetto Gui e Robert Sudgen, edito a Cambridge nel 2005, dedicato alle interazioni sociali e la cui sintesi è che qualità come fiducia, reciprocità, amicizia non possono essere considerate estranee al discorso economico.

Condivido pienamente, ricordando che nell’ormai lontano 1994, quindi con largo anticipo sul libro sopra citato, ho scritto per il quotidiano ItaliaOggi un articolo di fondo, il cui titolo FIDUCIA E SOLIDARIETÀ SONO BENI ECONOMICI, è già una sintesi della mia tesi coincidente, anzi più decisa. Coincidente ma non coeva, al punto che potrei vantarmi di essere un antesignano. Ma, non varrebbe la pena. Le idee degli economisti, come quelle dei filosofi, non sono brevettabili. Semplicemente circolano o sono di così largo buon senso che sarebbe sciocco stabilire chi arriva per primo. Ogni tesi non è mai un “arrivo”, ma una “partenza” ed è per questo che il mondo, ogni giorno, fa un piccolo passo, anche se più corto del piede.

 

 

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FIDUCIA E SOLIDARIETÀ SONO BENI ECONOMICI

pubblicato in “ItaliaOggi”, 17 agosto 1994

La democrazia è una catena: la correttezza politica genera fiducia, questa la solidarietà e minori costi sociali, fino a instaurare una prassi che, liberata da incrostazioni marxiane, è un dinamico modus vivendi, brodo di coltura per riforme economiche e sociali.

Il Nobel per l’economia Kennet J. Arrow dedica, nel ’74, una riflessione alla “fiducia” e, partendo dalla sua natura di valore morale, ne constata l’importanza pratica, che gli consente di iscriverla nella categoria dei beni economici, perché è: un importante lubrificante del sistema sociale. è molto efficiente: poter contare sulla parola degli altri consente di risparmiarsi molti fastidi. La fiducia, e altri valori simili, come la realtà e la veracità… sono dei beni, delle merci. Hanno un valore reale, pratico, economico. Accrescono l’efficienza del sistema, e vi mettono in grado di produrre più beni, o più di un qualsiasi valore voi stimiate. » Non, quindi, mercificazione dei valori, ma constatazione che il “buono” può produrre il “bene”. Il filosofo Hans George Gadamer in un saggio dello stesso anno, auspica che: « Passando attraverso la società borghese potrà essere trasmessa alla società mondiale del futuro l’eredità culturale dell’occidente, che oggi non può certo più limitarsi a forme più o meno borghesi o piccolo borghesi di godimento e di compensazione di fronte ad una realtà opprimente » e afferma che: « la prassi è trattenersi e agire nella solidarietà. La solidarietà è perciò la condizione determinante e il fondamento di ogni ragione sociale. »

è sconfortante constatare che fiducia e solidarietà non siano ancora diventate prassi, almeno in Italia, preda della corruzione, che è solidarietà negativa, prosperata sull’asse imprenditore-burocrate-politico, di cui i processi di Tangentopoli hanno solo scoperchiato il pozzo. Cosicché nel popolo italiano, già scettico per vicissitudini storiche, si è acuito il senso della “sfiducia”, con i costi sociali e le dispersive inefficienze rilevate da Arrow. E poiché ogni male genera sciamani, l’ulteriore rischio è il mercato delle ricette, che in politica tiene la sua fiera soprattutto nelle ricorrenze elettorali, come si è constatato anche nelle ultime del marzo 1994, svolte all’insegna della vuotità mistificata dai mass media, specie televisivi, che, però, non hanno vinto.

Ha vinto la sfiducia, da superare, a meno di ritenerla un valore. All’ablazione della “s” bisognerà arrivarci, se si vuole che le riforme, che poi sono più semplicemente abolizione di riforme sbagliate, abbiano successo. Risanamento della spesa pubblica, recupero dello spirito d’intrapresa e rilancio dell’economia, soppressione del malcostume e della corruzione, riduzione del debito pubblico, ricostituzione dello spirito di unità nazionale, compatibile con un concetto di corretto federalismo, sono obiettivi che non hanno alcuna probabilità di realizzazione senza il recupero della fiducia come valore morale; quello economico verrebbe di conseguenza.

In un’epoca, che sembra riservare peso rilevante agli aspetti economici, l’economista attento alla psicologia sociale ci avverte che la fiducia è componente non secondaria di scelte e comportamenti. Politica monetaria e mercati borsistici e le loro variabili più evidenti: tassi d’interesse e di cambio, pur dominati dalla relatività del breve termine, vivono sull’affidamento che qualcosa di prevedibile accada. Sappiamo che per recuperare credibilità al nuovo livello del cambio, dopo la temperie dell’agosto 1992, il governo italiano ha lanciato più emissioni in valuta. In economia la previsione è dominante e si è più volte constatato che, se gli operatori, in primis i consumatori, gli households, cioè i capifamiglia, ritengono che qualcosa debba accadere, il qualcosa finisce per accadere. Per ciò il determinismo non fa la storia. La fiducia, sì… fa la storia delle azioni positive.

 

Pietro Bonazza