Con tutta l’enfasi, che sa impiegare un governo debole anche nelle piccole cose, è stata annunciata la liquidazione dell’IRI. Mi rievoca l’immagine di un fanciullino che, dopo lunga rincorsa riesce a saltare un rigagnolo e si sente Colombo sbarcato a San Salvador. Ma il fanciullino è commovente nella sua innocente ingenuità; il governo è solo odioso nel suo tartufismo. Infatti, pongo alcune domande retoriche:· quanti secoli occorreranno per concludere la liquidazione? Nella ingenua e illusoria speranza di conquistare un “posto al sole”, l’Italia si incaponì in una politica coloniale, che, avviata quando ormai Inghilterra, Francia, Olanda, Germania, Portogallo e persino il piccolo Belgio, si erano insediati nell’Africa delle risorse, conquistò a caro prezzo solo “cassoni di sabbia” libici, deserti dancali e somali, ambe rupestri etiopiche. Ma tutto questo finì già nel 1942. Però, dopo più di cinquant’anni, l’Istituto per l’Africa Orientale, creato per le colonie, era ancora vivo e vegeto. Non escludo che sia tuttora aperto un qualche polveroso ufficio stralcio romano. D’altra parte c’è tempo. C’è tutto il terzo millennio! E poi, c’è da combattere o no la disoccupazione?· ma sarà veramente liquidato? Chi non ricorda la morte-nascita dell’ENI? C’è sempre un Enrico Mattei in agguato, pronto a trasformare un carrozzone destinato allo smantellamento, in una operazione di restyling o lifting (oggi si dice così, perché fa cultura anglosassone, una volta si diceva, ma forse era troppo mediterraneo: araba fenice);· quanto costerà la liquidazione? Dopo le esperienze della liquidazione dell’EFIM, c’è da preoccuparsi che un funerale costi molto di più di un accanimento terapeutico indeterminato.La verità la troviamo nella storia e a raccontarcela è stato Valerio Castronovo. In La storia economica scrive che: « …nella sua sbrigativa spregiudicatezza, il presidente della Fiat Agnelli allorché – in una conversazione telefonica con Valletta del 6 febbraio 1933 intercettata dalla polizia affermando come fosse contrario agli interessi della grande industria acquistare titoli dell’IRI (“perché le obbligazioni sono per aiutare gli industriali”) aggiungeva con brutale franchezza: “noi dovremmo essere piuttosto dall’altra parte: finché fosse farsi imprestar soldi dal governo, bene, ma noi prestarne al governo è un po’ troppo. » Il governo fascista, dopo aver salvato industrie e banche dei capitalisti privati, impreparati e incapaci di fare il mestiere di imprenditori, al punto che avevano portato le “loro” aziende allo sfascio e al fallimento, tentò, fino al 1936, di riprivatizzare l’IRI (a ricordarlo fu l’insospettabile Guido Carli in un articolo del 23.11.1992). Sennonché gli imprenditori privati, Agnelli-Fiat in testa, avevano imparato la lezione, che da generazione in generazione è stata trasmessa fedele fino ai nostri giorni e si riassume nel comandamento “statalizzare le perdite e privatizzare gli utili”. La storia della privatizzazione attuale è figlia di quella mentalità. Solo il fascismo avrebbe potuto imporre la privatizzazione dell’Iri, perché solo il padre può sacrificare la creatura, secondo il concetto biblico Abramo-Isacco. Sarebbe bastato minacciarlo con forza. Il fascismo non ebbe questa forza, perché i capitalisti privati italiani, che credono solo nel quattrino e nelle squadre di calcio (anche il Sessantotto insegna) avevano finto di convertirsi al nuovo corso e il regime ci aveva ingenuamente creduto. Così per oltre settant’anni (non illudiamoci, non è finita) il contribuente italiano ha sostenuto le varie Fiat e le varie Mediobanca. Siamo arrivati a rifiutare l’Alfa Romeo al signor Ford, che ha sempre covato un debole viscerale per il “biscione”, per regalarlo con dote alla Fiat e vederlo, ora, nelle mani della General Motors. Alla fine è Detroit che comanda. Ma perché? Perché i capitalisti americani prima e i manager delle multinazionali oggi, diversamente da quelli italiani, ma si potrebbe dire europei, sono sì plutocrati, attaccati al vile denaro e alle leggi dell’economia e della finanza, ma sono innanzi tutto americani e, se cantano The star-spangled banner, tengono ancora la mano sul cuore e non sul portafoglio, sito, nella giacca, dalla parte opposta, forse perché non hanno paura che gli freghino il peculio o perché ritengono vi sia nella vita qualcosa di più alto, fosse anche solo il patriottismo imprenditoriale. Sanno che, alla fine, l’economia da sola non paga e questo ci conforta, anche se la pochezza morale dei nostri grandi imprenditori (l’aggettivo è un po’ iperbolico) ci è costata quasi un secolo di favori prima e una riduzione a colonia ora.Ma se le cose stanno così (forse stanno diversamente?), perché non affidare la liquidazione dell’Iri a un’agenzia americana? No, agli americani affidiamo costosissime consulenze di advisor, quando dobbiamo collocare aziende da tre soldi. Alle liquidazioni provvediamo direttamente, per essere certi che durino il più a lungo possibile