Nell’articolo “Il marketplace si sostituisce alle associazioni imprenditoriali” pubblicato in “Itali@Oggi.it” del 25.9.2000, il dott. Claudio Mori affronta il delicato problema del pericolo di una nuova mappa dei poteri e degli effetti che il crescente sviluppo di Internet può provocare sui rapporti delle imprese, in particolare delle Pmi. Quest’ultimo effetto non ha avuto, sin qui, le dovute attenzioni ed è merito di “ItaliaOggi” e del suo direttore, aver aperto la discussione sul settore delle Pmi, certo per sola passione giornalistica e amore dei principi di libertà economica, visto che, a mio avviso e per quanto mi riguarda, quelle imprese non dimostrano nemmeno una qualche rara condivisione nei confronti di chi da anni dibatte a loro vantaggio. Il dott. Mori sviluppa più osservazioni, ma certo, le intuizioni più inquietanti, riguardano il futuro dei distretti industriali, almeno nella definizione consolidata, e delle stesse associazioni di categoria, che potrebbero essere rimpiazzate da nuovi rapporti di aggregazione nei gangli informatici, che Internet è in grado di sviluppare. Su Internet discettano ormai in troppi, con o senza originalità, pro o contro, richiamando, a mo’ di esempi, esperienze americane, che non sono facilmente importabili in Europa e in Italia in particolare, senza gli opportuni adattamenti. Per avere un’idea di quante verità e di quante mistificazioni, illusioni o invenzioni circolano su Internet, basta leggere di Rifkin il recente saggio “L’era dell’accesso”. Nel libro c’è parecchio da sfrondare, ma ciò che resta è comunque illuminante. Negli Stati Uniti Internet ha già fatto le prime vittime, non solo in borsa, ma anche sul mercato e in particolare sul business to consumer. Ma non è questo il problema delle Pmi italiane, quanto meno di quelle addette alla produzione di beni e servizi materiali, che, raramente producono beni finali per il mercato di massa, condizione per stare in rapporti diretti con i consumatori, cioè: non interessano queste riflessioni le Pmi del campo alimentare, che aprono un sito Internet per vendere direttamente vino, olio, miele o formaggio di diretta produzione, come in una riedizione delle venditrici di formaggette sull’autostrada della Cisa o di pesche sulla Serenissima tra Brescia e Verona. Cose di vent’anni fa e ormai persino dimenticate. Invece, le Pmi, che qui interessano, sono produttrici in genere di semilavorati o particolari nel cuore della filiera o verso i suoi anelli terminali e, quindi, il loro asse più tipico è fornitore-cliente non consumatore, ma a sua volta produttore. Detto in termini di Internet: il business to business. Sono anche le imprese che producono con elevato valore aggiunto, perché sviluppano fasi a tecnologia avanzata. Chi ha occasione di visitare Pmi del bresciano, del lecchese o dell’asse Reggio-Modena-Bologna, constaterà quanti robot girano ventiquattrore al giorno in lavorazioni da meccanica fine e potrà rendersi conto dove si approvvigionano Fiat, BMW, Mercedes, per non parlare delle imprese statunitensi specializzate in ricerche petrolifere, ecc. È su questi settori che vanno incentrate le domande più urgenti, che poi si riconducono a una sola: quali strumenti o quali facilitazioni rispetto al presente possono offrire i servizi di Internet per agevolare e ridurre i costi di approvvigionamento e il contatto con nuovi possibili clienti sulla rete? Risposte corrette possono venire con approfondite conoscenze della tecnologia di Internet, che è più complessa di quanto non si pensi, abituati come sono molti utenti della rete solo a “curiosare”, senza nemmeno immaginare ciò che sta dietro lo strumento. Internet non è un surrogato o un succedaneo delle sale giochi per giovinetti nevrotici o con propensione a diventare tali. Quel tipo di utente alimenta le “bolle speculative” di Internet, che prima o poi faranno la fine bo quelle di sapone. Internet è uno strumento di inaudita potenza, flessibile e modulare. Dietro la sua facciata lavorano cervelli di grandi capacità logiche, in grado di produrre programmi e di inventare gangli e crocevia non sempre evidenti ed è proprio in questo star dietro le quinte che si possono produrre effetti inquietanti, perché creano nuovi centri di potere. Il dottor Mori parla delle associazioni di categoria delle imprese. Aggiungo che il fenomeno riguarda in misura ancora maggiore i sindacati dei lavoratori. In un articolo del 18.8.2000, Paolo Del Debbio, trattando del fenomeno dell’economia statunitense scrive: ” La domanda di lavoro, là, ormai è più alta dell’offerta: c’è più lavoro che lavoratori. E siccome il ritmo della produzione non accenna a diminuire le imprese stanno raschiando il fondo del barile nella ricerca di manodopera. ” Poiché si leggono analoghe descrizioni in altre fonti, la diagnosi deve essere corretta, comunque, stando alle statistiche sulla disoccupazione, l’interpretazione è plausibile. Questo è anche l’effetto di quello strumento rivoluzionario che è Internet: più un potenziamento dei rendimenti dei fattori tradizionali che una invenzione fine a se stessa. Mi chiedo: che bisogno c’è del sindacato in un mondo del lavoro, che sta andando in questa direzione? C’è bisogno di Cofferati in un mondo in cui Cipputi dice a Brambilla, contattato via Internet, che per lavorare nella sua Pmi vuole 100 lire e le ottiene? C’è bisogno del punto unico di contingenza, della concertazione e di tutte quelle invenzioni, che dietro un welfare, rivelatosi falso alla resa dei conti, ha trasformato l’Europa in un’area incapace persino di avere una moneta rispettabile?