ASSOCIAZIONE ITALIANA DOTTORI COMMERCIALISTI ED ESPERTI CONTABILI

COMMISSIONE NORME DI COMPORTAMENTO E DI COMUNE INTERPRETAZIONE IN MATERIA TRIBUTARIA

 NORMA DI COMPORTAMENTO N. 179

 

Limiti di rivalsa e detrazione della maggiore IVA accertata sulle operazioni attive

Massima

L’imposta sul valore aggiunto dovuta sulle operazioni imponibili, oggetto di rettifica in aumento da parte dell’Amministrazione finanziaria, può essere addebitata in via di rivalsa nei confronti del destinatario dell’operazione sotto la condizione che l’operazione sia stata oggetto di rilevazione contabile nel momento della sua effettuazione e sempre che l’Iva non sia stata già corrisposta direttamente all’Erario, in dipendenza degli atti impositivi derivanti da accertamento o rettifica.

Il cessionario/committente ha diritto di esercitare la detrazione della maggiore imposta dovuta e addebitata nei limiti del periodo decadenziale prescritto dall’art. 19, 1° comma, secondo periodo, del D.P.R. 633/1972, sempre che non abbia preventivamente regolarizzato l’operazione ai sensi dell’art. 6, 8° comma, del D.Lgs. 471/1997 versando direttamente all’Erario la maggiore imposta dovuta.

Premesse di inquadramento normativo

Il soggetto passivo che effettua operazioni imponibili ha l’onere di esercitare la rivalsa dell’imposta dovuta nei confronti del destinatario dell’operazione, nel momento della sua effettuazione [1] .

Il destinatario dell’operazione esercita il diritto di detrazione dell’imposta addebitata dal cedente/prestatore, ove ammessa [2] , a partire dalla data in cui l’operazione diviene esigibile (coincidente, quindi, con il momento di esercizio della rivalsa) e, al più tardi, con la dichiarazione IVA annuale relativa al secondo anno successivo ai sensi dell’art. 19, 1° comma secondo periodo, del D.P.R. 633/1972.

L’art. 26, 1° comma, D.P.R. 633/1972 prescrive l’obbligo di emissione della fattura per le variazioni in aumento dell’operazione già fatturata, per qualsivoglia motivo (ivi compresa la rettifica di inesattezze della fatturazione o della registrazione) e senza limiti di tempo entro il termine decadenziale per la rettifica della dichiarazioni IVA. Tale obbligo deve considerarsi esteso anche all’ipotesi di regolarizzazione ai fini IVA di operazioni ritenute originariamente non soggette ad imposta [3] .

L’art. 57, 1° comma, D.P.R. 633/1972 disciplina l’attività dell’ Amministrazione finanziaria di accertamento e rettifica delle dichiarazione annuale IVA, se presentata, ponendo – in linea di principio [4] – il limite decadenziale del 31 dicembre del 4° anno successivo a quello di presentazione  della dichiarazione.

L’art. 60, 7° comma, D.P.R. 633/1972 vieta al soggetto passivo di rivalersi della maggiore imposta corrisposta in seguito all’atto di accertamento o rettifica.

 1.1.            L’esercizio della rivalsa

Il divieto di rivalsa della maggiore imposta “pagata” [5] a seguito di rettifica della dichiarazione presentata, posto in deroga all’obbligo stabilito, in via generale, a carico del soggetto passivo che effettua l’operazione soggetta ad IVA, deve essere coordinato con la prescrizione di fatturazione integrativa delle operazioni, stabilita anche per le inesattezze compiute al momento della loro effettuazione ed originaria fatturazione.

Un’interpretazione del divieto stabilito all’art. 60, 7° comma, che comporti la generalizzata applicazione del precetto a tutti i casi di operazioni soggette a rettifica o accertamento determina l’abrogazione implicita della disposizione contenuta nell’art. 26, 1° comma, ove si prevede l’onere di fatturazione successiva al momento di originaria effettuazione dell’operazione, anche per cause imputabili ad errore del contribuente [6] .

È al contrario ammissibile, secondo i canoni dell’art. 12 delle Preleggi, l’interpretazione che limiti il divieto di rivalsa ad operazioni per le quali non si applichi l’obbligo della fatturazione integrativa: cioè per le operazioni che non siano state oggetto di fatturazione o di annotazione contabile, ancorché errata, nel momento dell’originaria effettuazione.

Il riferimento al requisito della fatturazione o della registrazione del documento ai fini IVA, richiamato in chiaro dalla norma (art. 26, 1° comma, D.P.R. 633/1972), va inteso non solo per le operazioni soggette ad imposta ma anche per le operazioni per le quali, pur in assenza di applicazione del tributo, il soggetto agente abbia emesso un documento contabile, idoneo alla identificazione della controparte [7] .

È parimenti ammissibile, in ossequio al testo normativo (art. 60, 7° comma, D.P.R. 633/1972),  l’interpretazione che limiti l’emissione della fatturazione integrativa sino al momento in cui l’imposta non sia stata “pagata”, ossia corrisposta all’Erario direttamente in dipendenza degli atti di accertamento o rettifica [8] .

In assenza di una disposizione comunitaria di riferimento [9] , dunque, l’IVA dovuta sulle operazioni imponibili, oggetto di rettifica in aumento da parte dell’Amministrazione finanziaria, può essere addebitata in via di rivalsa nei confronti del destinatario dell’operazione sotto la condizione che essa sia stata oggetto di rilevazione contabile nel momento della sua effettuazione e sempre che non sia stata già corrisposta direttamente all’Erario, in dipendenza degli atti impositivi  [10] .

1.2.            L’esercizio del diritto di detrazione

Il diritto di detrazione dell’IVA gravante sull’operazione è attivato, in linea di principio [11] , dall’esercizio della rivalsa da parte del fornitore del bene o del servizio.

In caso di emissione di fattura con applicazione erronea delle disposizioni che regolano il tributo, il cessionario-committente deve procedere all’integrazione del documento entro il trentesimo giorno successivo a quello della sua registrazione, versando nel contempo la maggiore imposta, se dovuta, direttamente all’Erario ai sensi dell’art. 6, 8° comma, D. Lgs. 471/1997.

L’omessa autofatturazione nel termine suindicato espone il cessionario-committente all’applicazione delle eventuali sanzioni ma non implica la perdita del diritto di detrazione, in quanto non specificamente previsto dalla norma [12] .

Il riconoscimento del diritto di detrazione, anche nel caso di omessa autofatturazione di una operazione originariamente contabilizzata in modo errato [13] , risponde al principio di neutralità dell’imposta  [14] che non può essere violato, se non nelle ipotesi di comportamento fraudolento [15] .

L’ammissibilità della rivalsa anche per l’imposta oggetto di accertamento o rettifica, per le motivazioni indicate sub 1.1, comporta, dunque,  il riconoscimento della detrazione, ferma restando la valutazione della detraibilità del’imposta in capo al cliente in riferimento al principio di inerenza (art. 19, 1° comma D.P.R. 633/1972) e alle limitazioni soggettive ed oggettive eventualmente applicabili (artt. 19 bis e 19 bis1 del D.P.R. 633/1972), sempre che il destinatario del documento irregolare non abbia preventivamente proceduto alla sua regolarizzazione mediante autofatturazione ai sensi dell’art. 6, 8° comma, D.Lgs. 471/1997.

Oltre a tali limiti, la legge impone uno sbarramento temporale all’esercizio del diritto di detrazione,  ossia entro la dichiarazione IVA relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto di detrazione, giudicato compatibile con i principi di effettività e proporzionalità stabiliti dalle norme comunitarie [16] .

In conclusione, il cessionario/committente  ha diritto di esercitare la detrazione della maggiore imposta dovuta e addebitata nei limiti del periodo decadenziale prescritto dall’art. 19, 1° comma, secondo periodo, del D.P.R. 633/1972, sempre che non abbia preventivamente regolarizzato l’operazione ai sensi dell’art. 6, 8° comma, del D.Lgs. 471/1997, versando direttamente all’Erario la maggiore imposta dovuta [17] .

2  Casistica esemplificativa

2.1.            Operazione non soggetta ad IVA

Si ponga il caso di un’operazione ritenuta originariamente non soggetta ad IVA in quanto non imponibile o esente, situazione poi contestata in sede di verifica.

Considerando che la condizione di partenza (cioè l’emissione della fattura, ancorché errata, al momento dell’effettuazione dell’operazione) è rispettata, il fornitore ha l’obbligo di emettere la “nota di variazione” prescritta dall’art. 26, 1° comma, del decreto IVA, anche in presenza ed a seguito dell’atto impositivo emesso dall’Amministrazione finanziaria, e sino al momento in cui l’imposta non venga corrisposta direttamente all’Erario.

L’emissione della “nota di variazione”, che assume la veste di fattura “integrativa” di quella originariamente emessa, consente al destinatario dell’operazione di esercitare il diritto di detrazione.

Tuttavia, considerando che il momento impositivo della maggiore imposta reclamata retroagisce ex tunc alla data di effettuazione dell’operazione [18] , il diritto di detrazione deve essere posto in collegamento temporale alla genesi del diritto-dovere di rivalsa.

Consegue, dunque, che esso potrà essere esercitato al più tardi con la dichiarazione del secondo anno successivo.

Volendo esemplificare, se la fattura con l’applicazione (erronea) del regime di non imponibilità o di esenzione è stata emessa nell’anno 1, il cliente ha diritto di detrazione entro la dichiarazione dell’anno 3, presentata nell’anno 4.

Se la rettifica dell’operazione da parte dell’Amministrazione finanziaria interviene successivamente (ad esempio, nell’anno 5 o 6, cioè, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione relativa all’anno 1), il cliente perde il diritto di detrazione.

2.2.            Operazione soggetta ad aliquota più elevata

Medesime considerazioni possono essere svolte per il caso di una fattura, originariamente emessa con aliquota inferiore a quella dovuta.

In tal caso la fattura integrativa emessa dal cedente/prestatore, prima del pagamento diretto dell’imposta all’Erario, sulla base dell’atto di accertamento o rettifica, determina il superamento del divieto di cui all’art. 60, 7° comma, D.P.R. 633/1972 e la conseguente facoltà di esercitare il diritto di rivalsa in capo al cessionario/committente. Quest’ultimo, nei limiti temporali sopra evidenziati, ha diritto di detrazione della maggiore imposta addebitata, sempre che tale diritto sia riconoscibile, secondo i principi di inerenza dell’art. 19, 1° e 2° comma, D.P.R. 633/1972. 



[1] Cfr. art. 18, 1° comma, D.P.R. 633/1972. Il diritto-dovere di rivalsa è previsto in via generale per tutte le operazioni, ad eccezione di quelle indicate nel terzo comma della citata norma.

[2] Cioè secondo il principio di inerenza stabilito dall’art. 19, commi 1 e 2, e con le limitazioni soggettive ed oggettive prescritte dagli artt. 19bis e 19bis 2 del D.P.R. 633/1972.

[3] In tal senso Risoluzione ministeriale 12 marzo 1976 n. 504011.

[4] Fatte salve le cause di rinvio del termine decadenziale prescritte dalla norma in caso di infrazioni con rilevanza penale (art. 57, 3° comma, del D.P.R. 633/1972) e dalle singole leggi che hanno regolato in passato i provvedimenti di definizione agevolata.

[5] Il termine è utilizzato dalla norma contenuta nell’art. 60, 7° comma, D.P.R. 633/1972.

[6] In senso conforme Cass,, sez. II civ., sentenza 24 novembre 2005 n. 24794 ove si annota che “In definitiva, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60 (…) non è applicabile al caso di specie perché esso non riguarda il caso in cui la pretesa di maggiore imposta si realizzi in sede di rivalsa sul prezzo mediante l’emissione (…) di una nota di variazione ex D.P.R. n. 633 del 1972, comunemente ritenuta fatturazione integrativa, da parte dello stesso cedente”.

[7] Come nel caso di emissione di fattura senza applicazione dell’IVA per carenza del requisito territoriale o del requisito oggettivo.

[8] In tal senso si veda Circolare 131/12058 del 12 settembre 1986 degli Ispettori Compartimentali Dirigenti. Si veda altresì la Nota  31 gennaio 2006 n. 17074 dell’Agenzia delle entrate ove si ammette l’emissione tardiva della fattura, con la limitazione temporale riferita all’inizio di un’attività di controllo.

[9] Il divieto di rivalsa prescritto nell’art. 60, 7° comma, D.P.R. 633/1972 non è assistito da alcuna disposizione della dir. 2006/112.

[10] In senso conforme Cassazione, sez. 1^ civ., sentenza 19 maggio 2009 n. 11549. In senso conforme si veda altresì Cassazione, sez. I civ., sentenza 26 maggio 2010 n. 12882 dove il divieto di rivalsa ex art. 60, 7° comma è posto in relazione ad un caso in cui il soggetto passivo (nella specie, una Cooperativa edilizia) “aveva deciso di aderire all’accertamento al fine di ottenere un risparmio e le agevolazioni previste dalla normativa”, cioè in una situazione fattuale nella quale il soggetto passivo aveva azionato la rivalsa per la maggiore imposta reclamata dall’Erario successivamente al pagamento dell’imposta.

[11] Fatti salvi i casi di reverse charge e di autofatturazione, rispettivamente regolati dall’art. 17, 2° comma del D.P.R. 63371972 e dall’art. 6, 8° comma, del D.Lgs. 471/1997.

[12] In senso conforme Nota Agenzia entrate n. 2006/17074 cit.

[13] Come nel caso di fatturazione originaria di una cessione di azienda senza applicazione dell’IVA, operazione ritenuta poi, in sede accertativa, riconducibile ad una cessione di beni soggetta ad IVA.

[14] Corte di Giustizia, sentenza 6 novembre 2003, causa C-78/02 Karageorgou ed ivi, segnatamente, il punto 50. In argomento si v. altresì Cass., sentenza 12882/2010 cit., ove si annota che la disciplina dell’art. 60, 7° comma “è ispirata dall’esigenza di garantire la stabilità dei rapporti giuridici, che sarebbe compromessa da rivalse su operazioni ormai remote e dal tentativo del cessionario – se soggetto passivo d’IVA – di detrarre la relativa imposta: esigenza che prevale, rispetto alle ragioni di politica tributaria ispiratrici della neutralità dell’IVA e della tassazione del solo consumo finale”. L’indicazione giurisprudenziale è in contrasto solo apparente, considerando che il principio di stabilità giuridica non risulta compromesso ove la detrazione sia ammessa anche successivamente, purché nei limiti temporali fissati normativamente.

[15] Corte di Giustizia, sentenza 6 luglio 2006, cause riunite C-439/04 e 440/04 Axel Kittel e ivi,segnatamente, i punti 54 e 55. 

[16] Cfr. Corte di Giustizia, sentenza 8 maggio 2008, cause riunite C-95/07 e 96/07 ed ivi, segnatamente, il punto 53 ove si annota che “(…)un termine di decadenza quale quello di cui trattasi nelle cause principali[cioè, il termine prescritto dall’art. 19, 1° comma, 2° periodo] non rende impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio del diritto a detrazione per il semplice fatto che l’amministrazione fiscale dispone, ai fini dell’accertamento dell’IVA non assolta, di un termine che eccede quello concesso al soggetto passivo per l’esercizio di un tale diritto”.

[17] Contra Cass., sez V civ., sentenza 4 febbraio 2010 n. 2564.

[18] In quanto la variazione in aumento non è dovuta ad una causa sopravvenuta: in tal senso cfr. Risoluzione Agenzia entrate 18 aprile 2008 n. 161/E.