Nota Bene. Questa nota è collegata  all’aforisma “Giuramento nullo (Void oath)” pubblicato il 9 – agosto – 2011

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Verità e giuramento

 

Nei tempi antichi il giuramento era considerato una dichiarazione di verità chiamando a testimone un ente esterno e superiore al giurante, sia quando si trattava di dare conferma e rafforzamento di un fatto o atto compiuto sia quando era promessa di un comportamento futuro. L’esempio classico è il giuramento di Annibale (239 a.C.), imposto dal padre Amilcare, di portare odio a Roma. Cornelio Nepote (100 a.C. circa – Roma, 27 a.C. circa) così descrive l’evento:

 “Pater meus’ inquit `Hamilcar puerulo me, utpote non amplius VIIII annos nato, in Hispaniam imperator proficiscens Carthagine, Iovi optimo maximo hostias immolavit. Quae divina res dum conficiebatur, quaesivit a me, vellemne secum in castra proficisci. Id cum libenter accepissem atque ab eo petere coepissem, ne dubitaret ducere, tum ille `Faciam’, inquit `si mihi fidem, quam postulo, dederis.’ Simul me ad aram adduxit, apud quam sacrificare instituerat, eamque ceteris remotis tenentem iurare iussit numquam me in amicitia cum Romanis fore. Id ego ius iurandum patri datum usque ad hanc aetatem ita conservavi, ut nemini dubium esse debeat, quin reliquo tempore eadem mente sim futurus. Quare, si quid amice de Romanis cogitabis, non imprudenter feceris, si me celaris.
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[“ Mio padre, disse, Amilcare, essendo io bambino, nato da non più di nove anni, recandosi da Cartagine in Spagna come comandante, immolò a giove Massimo delle vittime. E mentre quel rito sacro si compiva, chiese a me se volessi partire con lui verso gli accampamenti. Avendo io accettato volentieri ed avendo cominciato a chiedergli di non dubitare a condurmi, allora egli “ (Lo) farò, disse, se mi avrai fatto la promessa, che esigo.”Subito mi condusse all’altare, presso cui aveva deciso di sacrificare e, allontanati gli altri, ordinò che tenendola giurassi che io non sarei mai stato in amicizia con i Romani. Io, quel giuramento fatto al padre, l’ho conservato fino a questa età così, che per nessuno ci sia il dubbio che per il tempo restante io sia destinato ad essere dello stesso parere. Perciò se penserai qualcosa amichevolmente sui Romani, non avrai agito imprudentemente, se me lo nascondi.”]

Amilcare non si accontenta delle formule, ma pretende che Annibale posi la mano sull’altare a invocazione del dio Giove. Come a dire: “Dio mi è testimone…” e converte la formula in atto religioso.

A questo costume si oppone Gesù di Nazaret, come riporta l’evangelista Matteo, cap. V, 34, ricordando le parole del Maestro: «Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti. Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re».

L’affermazione di Gesù è perentoria (“ma io vi dico”) e imperativa, oltre che motivata (“perché”) ed è anche risolutiva (“non giurate”).

Ma l’ordine di Gesù fu disatteso e, almeno in Occidente, il giuramento fu mantenuto; solo che nel tempo e per la diffusione di una dirompente secolarizzazione e del politically correct ha abbandonato il collegamento con una entità esterna di natura religiosa e si è affermata una forma di giuramento che, per esempio, nel codice di procedura civile italiano (art. 238 c.p.c.), dopo gli sfrondamenti operati dalla Corte Costituzionale, così è ridotta: «consapevole della responsabilità che con il giuramento assumo, giuro…». Se vogliamo essere obiettivi e razionali dobbiamo ammettere che è come giurare sul niente o su se stessi.

 Il giuramento è rimasto nelle corti come conferma di dire la verità. Quale verità? Quella che piace al giudice?

Il giuramento vorrebbe accentuare, responsabilizzare, le affermazioni, talché il mendacio sia poi colpito da maggior sanzione. Ma perché il giuramento sia una tale accentuazione della responsabilizzazione, deve avvenire in riferimento a qualche entità esterna e superiore. Io non giuro su me stesso, perché sarebbe come ripetere due volte la stessa frase, una specie di n elevato a potenza. Perché il giuramento abbia valore morale, quindi giuridicamente rilevante, è necessario un riferimento esterno. Ma, se è così, il giuramento è una formula vuota come tante altre. A mio avviso, sarebbe stato più corretto abolire il giuramento su una entità predeterminata dall’ordinamento giuridico, non tanto per rispetto della libertà del giurante, ma per non far perdere il valore morale del giuramento stesso. Che valore giuridico avrebbe far giurare un musulmano sulla Bibbia o viceversa un cristiano sul Corano? Però sarebbe bene che prima del giuramento, se proprio lo si vuol mantenere come atto processuale, il giurante sia costretto a dichiarare su quale entità sceglie di giurare e poi che giuri invocando ciò che ha liberamente dichiarato. Senza questa dichiarazione preventiva, il giuramento non è più tale, perché ha perso la sua radice di ius nel senso di Iovis. Invece, in mancanza, il giurante giura su se stesso, e diventa un circolo vizioso, cioè su niente. Si comprende, allora, la scelta logica e radicale di Gesù, “non giurate affatto” e così il problema è risolto una volta per tutte e il testimone è e resta, in ogni condizione e regime, responsabile di ciò che afferma senza attenuanti o aggravanti, perché la verità che esprime è sempre una valutazione soggettiva.