L’affermazione che Martinetti sia uno schopenhaueriano non rende piena giustizia al primo, che ammiratore di Schopenhauer lo fu davvero, ma non epigono. Infatti, il filosofo tedesco non avrebbe mai scritto il passo del Breviario spirituale del filosofo canavese: «L’unica forma morale del matrimonio è la monogamia…La storia mostra abbastanza chiaramente che alla dissoluzione della famiglia si accompagna sempre la dissoluzione della società…L’attuale [1921] levata di scudi contro il matrimonio indissolubile, l’apologia della passione e dell’amore libero non sono che l’ipertrofia del fattore sessuale nel nostro tempo… » (pag. 89-90) e Martinetti non avrebbe mai scritto come Schopenhauer: «Nel nostro continente monogamico, sposarsi significa dimezzare i propri diritti e raddoppiare i propri doveri » (Parerga e paralipomena, vol. II, cap. 27, par. 370). Si noti che non si tratta di frasi prese dai rispettivi mucchi, ma di note caratteristiche del rispettivo pensiero. Sul piano filosofico sistematico Schopenhauer sopravanza Martinetti, ma in filosofia morale questi gli è superiore. Anche l’amore per la natura richiede puntualizzazioni: Schopenhauer amava la natura, ma ne rimaneva fuori e, peraltro, la frase: « Che farei senza il mio cane», che potrebbe stare in bocca a qualsiasi vecchia signora sola, rannicchiata con il suo maltese in un appartamento borghese di Torino o Milano, rende giustizia al naturalismo del filosofo tedesco, che era certo più profondo. Martinetti nella natura ci viveva e si sentiva parte. Forse le montagne del canavese agevolavano questa compenetrazione dell’uomo, così come accadde per il Verrecchia del Diario del Gran Paradiso.

Su questo punto si può non convenire e, comunque, considerazioni più approfondite si impongono. A titolo di mera provocazione si potrebbe constatare che non bastano le escursioni settimanali sulle montagne o sulle marine e gli sguardi estasiati e bucolici sul paesaggio circostante, in momenti liberatori, anche se solo passeggeri, dal proprio quotidiano travaglio. Vivere nella natura è diverso: significa sentirsene parte, si potrebbe dire quasi con gioco di parole: “vivere nella natura naturalmente”. Vivere nella natura non è un abbracciare un albero e dire “volemmose bene“, ma vuol dire sentire la voce, che può essere fragorosa, come il cupo rombo di una cascata o il brontolio di un vulcano, ma anche il silenzio della campagna stordita dal solleone. È la differenza tra la vita del contadino e quella del cittadino. Il contadino non ha nemmeno bisogno di ascoltare la natura, perché la “sente” e il “sentire” è “sentimento”, diversamente dall’udire.

Ora, nessuno può negare che l’amore per la natura sia una cifra comune in Schopenhauer e in Martinetti, ma questi è il “contadino” che vive la natura, mentre Schopenhauer è il cittadino che “ama” la natura e la differenza non è lieve, se si pensa che nella solitudine di Spineto Martinetti non diventa un panteista di tipo spinoziano, ma un religioso, seppur senza religione, più vicino a Pascal. Come a dire che Martinetti diventa un mistico, mentre Schopenhauer diventa un naturalista e se così non fosse non si capirebbe l’origine del suo pensiero incentrato sulla “volontà”, che proprio dalla natura trae il suo stimolo fondamentale, come ben si legge già nel titolo del suo libro La volontà nella natura. Queste considerazioni non esaltano Martinetti né criticano Schopenhauer, ma possono mettere in evidenza due approcci diversi al mondo che ci circonda e invitano a constatare che, alla fine, per entrambi la natura non è un fine, ma un mezzo per scoprire la “verità”, unico impegno affidato al filosofo, come ben evidenzia lo stesso Schopenhauer, che nel pamphlet Sulla filosofia da università” (traduzione di Anacleto Verrecchia) elogia Kant “per la sua autentica serietà nella ricerca della verità“, diversamente dagli pesudofilosofi che praticano la “filosofia lucrativa”.

Gli italiani, così devoti alla filosofia tedesca da sentirsene propaggine, non concepiscono il senso profondo e discreto della filosofia di Martinetti. Amano la filosofia chiassosa e piena di effetti, Schopenhauer escluso, che, infatti e non è casuale, non gode di grande fama presso i filosofi di mestiere domestici, i monopolisti della filosofia di maniera.

Però, Martinetti è più vicino a Diogene il cinico che a Schopenhauer, per cui e sempre provocatoriamente si potrebbe dire di lui: partì da Schopenhauer per arrivare a Diogene e il percorso era obbligato.

 

Pietro Bonazza