Il divenire non è ripetizione dell’eguale

  

In grammatica il prefisso “ri” non è solo un ri-petitore di azioni (ri-tornare [re-turn in inglese, re-venir in francese], ri-fare, ri-petere, ecc.), ma sottintende un ri-nvio al pensiero filosofico sul tempo e, particolarmente, al concetto del “ritorno dell’eguale”, che implica un significato di circolarità, come se la vita viaggiasse su una circonferenza che, alla  fine, ri-porta al punto di partenza. Ma è questa la realtà?

È opinione diffusa che sant’Agostino sia l’inventore del “tempo diacronico” e, in effetti, il cap. XI della Confessiones segna un punto fondamentale delle riflessioni sul tempo. Ma sant’Agostino cala la sua riflessione nell’ambito soggettivo, psicologico più che oggettivo e fisico. A questa aveva già pensato Eraclito otto secoli prima con la sua teoria panta rhei e con la constatazione che «non si può discendere due volte nel medesimo fiume…», a cui fa seguito Aristotele (Fisica,IV) con la definizione: «Il tempo è il numero del movimento secondo il prima e il dopo […]».

È  consequenziale all’atto del numerare che il tempo 2 venga dopo il tempo 1 e da ciò derivi una linearità numerica, che escluderebbe la circolarità. Sul punto si deve ricordare che la base della matematica è il numero e la più elementare delle operazioni è l’addizione: 2 è un 1+1, ove il secondo 1 è necessariamente eguale al primo; se avesse valor diverso non otterremmo il 2; ciò rende  possibile l’inversione. Ma per il tempo non è altrettanto valido: il secondo momento non è eguale al precedente, anche se ne riprende caratteristiche, perché cambia il contesto e spiega il divenire, con la sua irreversibilità e diacronicità.

Circolare o diacronico che sia, il tempo è strettamente connesso alla memoria e al libero arbitrio, quindi alla libertà. Possiamo volgere il problema in domande:

“La memoria del passato grava sulle spalle dell’oggi fino a distruggere la libertà? In che rapporto stanno libertà (e libero arbitrio) e storia (memoria)?

Il concetto di storia è indissolubilmente legato alla memoria, perché per la memoria gli accadimenti passati possono entrare nei libri di storia. E attraverso la fusione di più memorie possiamo scrivere la storia generale. La storia si conosce attraverso la storiografia.

La storia, come successione di eventi, sembra non ammettere ritorni, anche perché gli eventi apparentemente si ripetono, ma, cambiando il contesto, la ripetizione è solo nella cornice e non nel quadro.

Si è posto il problema anche Nietzsche, che nella sua teoria dell’ “eterno ritorno dell’eguale” ammette una ripetitività, che se non fosse per il fine dichiarato di contrapposizione cosmologica tra due divinità della mitologia greca: Dioniso e Apollo, segnerebbe un regresso. Sennonché l’eterno ritorno di Nietzsche è fuori dal tempo e cambia significato rispetto ai concetti tradizionali.

Ma, Nietzsche sembra non considerare che l’uomo non può essere fuori del tempo, che non è dominabile, e non c’è superuomo che tenga, seppur con la benedizione di Dioniso. È il tempo che è fuori dell’uomo travolto dal fluire del divenire senza ritorno. Sulla riva del fiume in attesa che passi il cadavere del suo nemico non c’è l’uomo ma il tempo. 

 Che cosa resta, oggi, di una contrapposizione concettuale millenaria?

A mio avviso, resta la prevalenza di una considerazione teologica, che sintetizzerei nella domanda: l’uomo è padrone del tempo? Lo è solo se lo ignora e lo ingloba in un attivismo da homo faber e l’uomo “fa” anche quando, inerte sulla terra, pensa alle cose di lassù. Estrarre dall’attivismo il bene che ne è componente è compito della Provvidenza. Sembra trovare risposta al travaglio dell’agire umano l’amara conclusione dei Sepolcri di Ugo Foscolo: «… e finché il Sole / risplenderà su le sciagure umane», che nel ri-splendere ri-chiama un eterno ritorno.