Libertà della gloria

 

Leggo nella lettera di San Paolo ai Romani (8,18-23): «La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio». Questa lettera è forse la più problematica dell’apostolo Paolo; ancor più il passo riportato e il suo messaggio è un’affermazione, non una ipotesi, quindi, assume un valore dottrinale, scritto sicuramente in greco, che parte dal concetto di creazione (8,19: ktisewz, ma anche mondo, universo).

Che cosa può aver inteso Paolo per “creazione”? È probabile che, essendo ebreo, pensasse all’incipit del biblico Libro della Genesi e cioè la creazione dell’universo, uomo compreso. Se è così, allora “creazione liberata dalla schiavitù della corruzione” significa che la creazione (l’intero universo) è schiava della corruzione, ancorché, eccetto l’uomo, sia incolpevole. Allora, perché dovrebbe “entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio”? Ma il punto più difficile è “nella speranza” di “colui che l’ha sottoposta”. Colui è il Creatore, che, però, non ha speranze ma certezze. Cristo è venuto a salvare l’uomo non la creazione. Però, tutto si aggiusterebbe se per “sottoposta” si intendesse il “soggiogata” della Genesi, 1,28. Allora, il “colui che l’ha soggiogata” sarebbe l’uomo stesso. Biblisti e teologi non saranno forse d’accordo, ma io sono convinto che la Chiesa ha un po’ esagerato l’importanza di San Paolo, che nel Cristianesimo nascente ha messo molto di suo. Non bisogna comunque trascurare il contesto storico, direi ambientale, in cui visse l’apostolo, né la sua personale cultura linguistica maturata in un contesto ebraico ed ellenistico. Non solo: non si può nemmeno trascurare che la Lettera ai Romani non è un Vangelo, ma una interpretazione, talvolta molto personale, del cristianesimo nel suo momento iniziale.

 

Duemila anni dopo, con il vantaggio di venti secoli di riflessioni e alla luce di una profonda personale “scienza” teologica, Joseph Ratzinger, Papa Benedetto XVI dal 2005, scrive in Escatologia (2007, pagg. 236-7):

 

«Il «cielo» è come tale una realtà «escatologica», l’aprirsi di quanto è definitivo e radicalmente diverso. La sua eternità consegue dall’eternità dell’irrevocabile e in­divisibile amore di Dio; la sua apertura al pieno eschaton deriva dall’apertura della storia, tuttora in fase di com­pimento, del Corpo di Cristo come di tutta la creazione. Il cielo sarà perfetto soltanto allorquando saranno unite tutte le membra del Corpo del Signore. Questa perfezio­ne del Corpo di Cristo comporta insieme, come abbiamo veduto, la «resurrezione della carne», e significa «Paru­sia» in quanto con ciò si è compiuta in pieno la presenza, finora soltanto iniziata, del Cristo e in quanto compren­de tutti coloro che devono essere salvati, ivi incluso l’universo. Per cui il cielo conosce due fasi storiche: l’elevazione del Signore instaura il nuovo «essere uno» tra Dio e l’uomo e con ciò il «cielo»; il completamento del Corpo del Signore a pleroma del «Cristo intero» lo perfeziona nella sua reale interezza cosmica. La salvezza del singolo — ripetiamolo per concludere — sarà completa e piena soltanto quando sarà compiuta pure la salvezza dell’universo e di tutti gli eletti, poiché questi non sono nel cielo soltanto separatamente gli uni accanto agli altri, ma costituiscono tutti insieme, quale unico Corpo del Cristo, essi stessi il cielo. Allora l’intero creato sarà un «cantico», un gesto con cui l’essere si libera nel tutto e insieme un entrare del tutto nel proprio, un gaudio in cui tutte le domande avranno risposta e esaudimento».

 

Nel passo sopra riportato, mi pare confermato il principio fondamentale della tesi paolina, soprattutto nell’affermazione “quando sarà compiuta pure la salvezza dell’universo”. Che significa “salvezza dell’universo”? Se non è frase metaforica né metafisica, il significato sembra chiaro: l’universo, pur nella sua materialità e assoluta irrazionalità, che ne determina l’incolpevolezza nella creazione, uomo escluso, dovrebbe partecipare al piano di salvezza degli eletti. Gli astrofisici dei nostri giorni, che teorizzano il Big Crunch con annullamento di tutta la materia dell’universo, non sarebbero d’accordo. Ma forse non lo sarebbero nemmeno molti cristiani, che hanno presenti questi punti fondamentali:

  1. Dio, la libertà per antonomasia, avrebbe potuto fermare il processo creativo sequenziale al quinto giorno e lasciare che fosse retto dalle leggi naturali dettate per il suo sviluppo e  conclusione finale al suo arresto. Dio non aveva bisogno di creare o di non creare, perché non aveva bisogno di aumentare la propria gloria, peraltro avendo constatato che ogni singola creazione “era cosa buona” e buona sarebbe stata anche nel perimento. Ma, pur essendo “cosa buona”, Dio considerò che la creazione, giunta a quel punto, era priva di una elemento fondamentale della divinità: la libertà. Allora creò l’uomo e avendolo voluto a “nostra immagine e somiglianza” (si noti il senso trinitario del “nostra”), gli donò il massimo dei doni: la libertà. Che uso fece l’uomo della libertà? Violò il comandamento di non pretendere di essere eguale o più di Dio, peraltro preceduto da pari ribellione di Lucifero. La scelta degli angeli ribelli e dell’uomo orgoglioso fu di “non libertà”, perché succube del male. Si noti che senza riscatto dalla colpa, la religione sarebbe stata un’affermazione di politeismo. La violazione doveva essere sanzionata con una condanna, ma, mentre la condanna dell’angelo ribelle fu irredimibile, quella dell’uomo fu accompagnata da un promessa: la salvezza attraverso la redenzione operata da Dio a prezzo del sacrificio del Figlio, non di un’auto-redenzione dell’uomo peccatore. Dio riservò all’uomo una possibilità non concessa all’angelo decaduto. Perché? Perché l’uomo aveva un’attenuante: essere tentato dall’angelo ribelle, cioè da una lusinga venuta dall’esterno.
  2. Dio creò l’uomo con fango, cioè con la materia esistente, ma anche gli alitò lo spirito (vedi Bibbia, Genesi), che, essendo divino, fece dell’uomo una creatura diversa dal resto del creato, perché Spirito è logos, cioè ragione. La materia, cioè il corpo, trovò elevazione a un livello superiore, che per semplicità, possiamo chiamare “anima”, piaccia o no ai neurologi attuali neo-positivisti. Il destino di questa singolare e particolare creatura è la partecipazione alla gloria eterna di Dio, mediante il piano di salvezza, che esige due componenti: la Grazia di Dio e la collaborazione dell’uomo attraverso la Fede, consistente nella certezza che il bene compiuto sia complementare e trovi un giusto riconoscimento alla fine della vita materiale, vissuta all’insegna dell’amore. Non è ragionevolmente pensabile che Dio salvi gli “eletti” per una scelta disancorata dalla collaborazione dell’uomo, come pensano i luterani e, forse, lo stesso Paolo. La giustificazione dell’uomo da parte di Dio si realizza attraverso la misericordia, perché la misericordia non è capricciosa, perché è giustizia, anche secondo concetti umani, che sono derivazione di ragione e libertà di Dio creatore. Se si intende la salvazione in modo diverso, significa vanificare il bene che l’uomo può fare, non sarebbe salvazione senza il concetto di complementarità alla Fede e alla misericordia del creatore. Nessuno può negare l’importanza della Grazia di Dio, che, non può non tener conto della collaborazione delle opere dell’uomo                                                                     
  3. Dio Padre mandò il proprio Figlio unigenito a salvare l’uomo attraverso il sacrificio cruento della Croce. Non pare, anche desumendo dai testi biblici, che Dio abbia sacrificato il proprio Figlio per redimere l’universo, il mondo, la creazione, la ktisewz, incolpevole perché materia vincolata alle sole leggi naturali, che mai vi si ribellò. L’atto di Redenzione, che è il compimento dell’opera creativa nell’ottavo giorno, ha un senso se lo si intende riferito solo all’uomo. Se no, perché si direbbe che “Dio si è fatto uomo”? Perché esistono i sacramenti del Battesimo, della Confessione, dell’Eucarestia? Vi partecipa l’universo? Avrebbe, questo, richiesto il sacrificio di Cristo?
  4. C’è un altro passaggio che desta perplessità: “il completamento del Corpo del Signore a pleroma del «Cristo intero» lo perfeziona nella sua reale interezza cosmica. La salvezza del singolo — ripetiamolo per concludere — sarà completa e piena soltanto quando sarà compiuta pure la salvezza dell’universo”,  in cui sembra che “il corpo del Signore” sia incompleto fino al giorno ultimo. Ma il corpo del Signore, cioè il Cristo, trovò nella Resurrezione la sua definitiva e completa realizzazione, senza bisogno di ulteriori attese, né abbisogna di perfezionamenti con la salvezza del’universo, a meno di ipotizzare un  inutile ripristino di un Eden. Le anime degli “eletti”, che io preferirei leggere “salvati”, non hanno bisogno di un luogo per passeggiare in un aldilà in cui è appagante e assorbente la visione di Dio, come già Dante intuì nel divino Paradiso. Ci si riferisce al “cielo”, che il teologo Ratzinger ci avverte essere «una realtà escatologica».

Ma a pag. 157 del citato saggio sull’escatologia, il teologo Ratzinger ha scritto:

«Se l’immortalità è concepita solo come grazia o addirittura come il privilegio dei soli devoti, essa si dilegua nel miracoloso e perde la sua base razionale…». La razionalità, a cui si richiama Ratzinger, non è certo quella illuministica, ma al logos di derivazione divina concretizzata nel momento di creazione dell’uomo e che non esiste, se non si manifesta in un rapporto con la grazia divina. Questa dipendenza della ragione umana dal logos non può ritenersi estesa all’intero creato materiale, che, non essendo responsabile, ma sottoposto alle sole leggi naturali, non ha ricevuto il dono della libertà.

La libertà, come dono esclusivo dato all’uomo, implica la responsabilità delle scelte e delle azioni e trova il suo peso nel piano della salvezza. Con ciò, mi pare che la mera gratuità della Grazia smentisca Lutero, perché non può essere disgiunta dal peso delle azioni umane liberamente compiute. La giustizia umana, per quanto incerta e spesso fallace, è modellata sulla giustizia divina e la “giustificazione” paolina (e luterana) ne è derivazione, per cui, risalendo induttivamente da questa a quella, non possono essere considerate prive di peso: attenuanti, esimenti e aggravanti. Il premio finale è la visione di Dio, immediata o post purgazione, ma come Dante ci insegna: Dio non si lascia vedere gratis pur con l’attivazione della sua Misericordia, che trova nel logos divino il filtro per la sua applicazione.