Riflessioni critiche sull’art. 2399 cod. civ.

 

I casi di rapporti organici sindaco-amministratore, che l’art. 2399 cod. civ. ha inteso regolamentare non tutti hanno trovato una soddisfacente soluzione sia sul piano delle attese degli operatori sia sulla ratio della norma. Spicca in particolare quello che può essere delineato nella domanda: un amministratore di una società partecipante può assumere la carica di sindaco nella società partecipata? Per dare una risposta soddisfacente si deve analizzare il testo letterale della norma che recita:

«Cause d’ineleggibilità e di decadenza

Non possono essere eletti alla carica di sindaco e, se eletti, decadono dall’ufficio:
a) coloro che si trovano nelle condizioni previste dall’articolo 2382;
b) il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori della società, gli amministratori, il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori delle società da questa controllate, delle società che la controllano e di quelle sottoposte a comune controllo;
c) coloro che sono legati alla società o alle società da questa controllate o alle società che la controllano o a quelle sottoposte a comune controllo da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d’opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettano l’indipendenza…».

La lett. b) nella seconda parte vieta agli amministratori e ai loro coniuge, parenti e affini di assumere la carica sindacale nelle società controllate o controllanti o controllate in comune o consociate.

Per facilitare la lettura della parte di norma che qui interessa apriamo una parentesi e supponiamo che la lett. b) sia scritta, per miglior semplicità di lettura e interpretazione (parte in corsivo):

 

« 1. Non possono essere eletti alla carica di sindaco e, se eletti, decadono dall’ufficio:

  1. a) coloro che si trovano nelle condizioni previste dall’articolo 2382;

b,1) il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori della società,

b,2) gli amministratori, il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori delle società da questa controllate, delle società che la controllano e di quelle sottoposte a comune controllo;
c) coloro che sono legati alla società o alle società da questa controllate o alle società che la controllano o a quelle sottoposte a comune controllo da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d’opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettano l’indipendenza…».

 

In base alla lettera della norma, alla domanda se un amministratore di una società partecipante possa assumere la carica di sindaco nella società partecipata la risposta è positiva in linea generica, che diventa negativa nel caso in cui l’aspirante sindaco è amministratore “delle società da questa controllate, delle società che la controllano e di quelle sottoposte a comune controllo”. Quindi, per il legislatore è il “controllo” che fa scattare il divieto.

Questo divieto non è però immune da critiche se si considera che non è vietato che un socio persona fisica di una società di capitali, ancorché di maggioranza, possa assumere la carica di sindaco nella società partecipata e/o nelle società che la stessa controlla. Sembra logico che questa persona fisica ambisca a controllare la società o le società che amministrano direttamente o indirettamente il proprio investimento. In effetti la norma non vieta questa posizione del socio-controllore. Per estensione logica e analogica non si capisce perché sia vietato che questo socio assuma la carica di amministratore in una sua società e assuma anche la carica di sindaco in una controllata che indirettamente amministra il suo investimento. Si faccia l’esempio limite ma non irreale di Tizio socio unico della società Alfa e che a sua volta sia socio unico della società Beta. Non si vede in base a quale logica Tizio non potrebbe essere amministratore di Alfa e sindaco di Beta.

 

È da escludere l’applicazione della lettera c) dell’art. 2399 cod. civ. nella parte in cui cita “rapporti di natura patrimoniale”, perché per consolidata giurisprudenza la funzione dell’amministratore di società è un “rapporto organico” (Cassazione, Sez. Un., 20 gennaio 2017, n. 1545) anzi addirittura “immedesimazione organica”. Inoltre, si deve rilevare che la ratio (preoccupazione) del legislatore ha come premessa di illegittimità e incompatibilità l’indipendenza del sindaco che non deve essere infetta da rapporti di natura parentale, economica o patrimoniale.  Né di natura patrimoniale deve essere ritenuto il rapporto socio-società, perché, se così fosse, il socio non potrebbe assumere la carica di sindaco se è anche azionista, il che non è mai stato affermato né dalla legge né dalla dottrina né dalla giurisprudenza. Infatti, se l’azione è, secondo affermata dottrina, titolo di credito, ne deriva, per conseguenza logica, che il suo portatore è un creditore che ha diritto di tutelare il suo credito anche assumendo qualità di sindaco della società, tanto più se titolare di un pacco di maggioranza, quindi, in pratica, di controllo.

Può essere ritenuta una analogia provocatoria, ma se si associano le due considerazioni: il rapporto socio-società quale creditore e il rapporto amministratore-società come “immedesimazione organica” e non patrimoniale, pare che il legislatore della lettera b) (anzi, b,2), sia stato troppo assoluto e superficiale nel negare la possibilità che l’amministratore di una società controllante assuma la carica di sindaco, cioè di controllore, nella società controllata, soprattutto se questa non è soggetta a direzione coordinata e continuativa della controllante, perché questo rapporto tra controllante azionista e la controllata è lo stesso sopra descritto tra azionista e società, ma nel caso presente la controllante agisce per la tutela del proprio interesse di creditore verso la controllata attraverso l’immedesima organica del proprio amministratore.

Prima di proseguire è necessario aprire una parentesi.

Un principio fondamentale dell’ordinamento giuridico è che la legge protegge “interessi meritevoli di tutela” (art. 1322 cod. civ.) e, a maggior ragione, deve essere consentita la tutela come nel caso di una controllante nei confronti della controllata, il che può avvenire proprio con la figura e l’attività sindacale dell’amministratore della prima di cui ha “immedesimazione organica”. Se così è, non si comprende la ratio del divieto della lettera b) (anzi, b,2) dell’art. 2399 cod. civ. Se pur vero che dura lex sed lex, l’incongruenza rilevata resta e la norma qui criticata pare un esempio di manicheismo normativo. Volendo essere realisti non si può ignorare che, senza bisogno di scivolare nel caso di “amministratore testa di paglia”, esiste comunque un rapporto fiduciario tra amministratore e suo designante, che non è annullabile con semplici formule giuridiche né con divieti assoluti e finché una nomina è, come deve essere, legata a un rapporto di interessi, distinguere casi di controllo o no pare una posizione non risolutiva, almeno finché la designazione e la conseguente nomina saranno espressione della libera volontà di coloro che portano interessi. Guai ben peggiori se così non fosse, perché dovremmo ipotizzare un sistema economico in cui gli amministratori sono scelti per sorteggio o nominati da boiardi di stato in piena violazione dell’art. 41, comma 1, della Costituzione: sarebbe la fine dell’intrapresa economica.