Quando un evento storico, sconvolgente come l’abbattimento delle “Torri gemelle” di Manhattan l’11 settembre, si allontana nel tempo parenti e amici di quanti furono sacrificati restano con il loro dolore, più o meno consolato dalla misura della propria fede religiosa, ma nella collettività all’accadimento subentra il simbolo. Un simbolo negativo, che per la durata del fatto sembra aver rappresentato la vittoria del male. La storia è, infine, una specie di grande giacimento fatto di strati di ceneri, che rappresentano e ricordano i fatti, ma non li cancellano, perché il simbolo, riassumendone la natura, li fa rivivere nell’immaginario collettivo anche delle generazioni future. Nel caso degli attacchi terroristici a New York, l’immaginario non è solo degli americani, ma dell’intero mondo occidentale, talché da quell’evento molte cose sono radicalmente cambiate e, alla fine, a pagare il prezzo più alto saranno i musulmani. Chi ha un minimo di cultura, anche solo televisiva, ricorda che nel XII secolo i ghibellini di Firenze, spalleggiati dall’imperatore germanico, demolirono le torri-case dei guelfi, anticipando di nove secoli l’attacco a New York; ma ricorda anche che nel XVI secolo gli ugonotti, dopo la “festa di San Michele” nella quale ammazzarono i cattolici, subirono il macello della “Notte di San Bartolomeo”. Le ceneri di quegli eventi restano più che un ricordo storico.
Questa premessa è posta per proporre due constatazioni:
a) sui fatti di New York sono già stati versati fiumi di inchiostro, ma non si è letto che il mondo occidentale sarà costretto ad accelerare la scoperta di una fonte energetica alternativa al petrolio, dopodiché agli arabi non rimarrà che usare l’oro nero per farsi lo shampoo, come disse un’autorevole commentatore francese dopo lo shock petrolifero del 1973 e la Francia in una certa misura ne tenne conto nella sua politica energetica;
b) parlare di effetti economici dopo quel fatto sembra quasi un insulto ai morti e al patriottismo degli americani. Eppure bisogna, perché il nostro mondo – e qui sta la provocazione del realismo marxiano – è fatto soprattutto di economia e di rapporti commerciali. Vero è che i terroristi non sarebbero esistiti senza i soldi di Bin Laden e questi non avrebbe potuto muovere un dito senza i soldi di famiglia sparsi nelle banche del mondo occidentale. Infatti, il blocco dei conti finanziari produrrà più effetti delle bombe sull’Afghanistan.
Trattando del punto b), dobbiamo considerare, pragmaticamente fino a rischio di accusa di materialismo, il prima e il dopo dell’evento. Prima, l’economia reale statunitense (lasciamo perdere le borse che sono dominate da biscazzieri) perdeva velocità di crescita. Ovviamente gli economisti antiamericani, quelli che criticano gli USA senza avere mai un progetto alternativo – e ne abbiamo tanti anche in Italia masterizzati nelle scuole keynesiane inglesi – parlavano di recessione, addirittura di crisi, emulando certi giornalisti del calcio, per i quali basta che un idolo non segni il goal della domenica ed è subito brocco. Dimenticano che se un soldato segna il passo sul posto non sta avanzando, ma nemmeno arretrando. Sono i cosiddetti liberal, i ben pensanti, che in America si chiamano Thurow e in Italia lasciamo perdere per carità di patria, che accusavano Greenspan e la BCE a ogni piè sospinto, perché non capivano, questi zucconi di banchieri centrali, che bastava abbassare i tassi d’interesse e la frittata sarebbe diventata una torta nuziale. Non hanno mai constatato, poveretti, che il Giappone, almeno negli ultimi cinque anni, partendo da tassi zero, le ha provate tutte senza riuscire a sollevarsi. Insomma: in economia il viagra non funziona, ma peggio se funzionasse: schiatteresti dopo pochi mesi! Le recessioni economiche si curano con l’olio di gomito, più che con quello della moneta. Abbiamo letto su un serioso giornale economico che “la crisi in atto ricorda tanto il 1929”. Evidentemente l’autore non è molto esperto in storia economica! Non è mancato chi ha dato una ricetta miracolosa: finanziate lo sviluppo e batterete il terrore. Che vuol dire finanziare? Piacerebbe tanto costringere questo economista a consegnare i suoi risparmi per un finanziamento dello sviluppo dell’Afghanistan! Finanziare vuol dire trovare un terreno in cui un progetto industriale ha serie probabilità di riuscire; ma dove le donne sono schiave e gli uomini si sentono eroi, divertendosi a cavallo nel gioco del polo fatto con una pelle di pecora, c’è poco da progettare. Gli investimenti li fanno i privati e cioè le multinazionali. Ora: è molto bello fare le marce anti-global e nel contempo proporre cavolate, che sono l’esatto contrario, senza contare la contraddizione terminologica di “marce” per la pace, quando le marce le fanno i soldati che si preparano alla guerra! Le chiamino “passeggiate”, anzi: walk, visto che odiano tanto gli USA! Da sempre il danaro va dove può fruttare. Se no si chiama elemosina, la più improduttiva e offensiva delle ricette! E qui sta il punto: quello del “dopo”.
Il dopo è che gli americani alla fine vinceranno, ma – e non è solo questione di bombe-, intanto avranno svuotato i loro arsenali militari. Cioè avranno consumato le scorte. Vuol dire che per rifarle la macchina ripartirà. Almeno su questo si può essere d’accordo con quel provocatore di Milton Friedman.
Delle due l’una: o quelli che parlavano di recessione prima dell’11 settembre avevano ragione e, allora, è una questione di ciclo economico, nel quale alla discesa segue un trend di crescita. O avevano torto e la ripresa sarà ancora più sicura e robusta.
La verità è che i primi a non essere contenti di quel che è accaduto sono la classe dirigente del mondo islamico. Gli scalmanati che nelle piazze inneggiano al terrorista di Kabul sono solo carne da cannone. Contano gli interessi che sono a rischio. Contano i soldi e questi, piaccia o no a chi considera il danaro sterco del diavolo, sono le pedine di quel gran gioco di dama che è l’economia mondiale. Non dimentichiamo che Firenze è stata grande anche dopo la demolizione delle torri-case e che la Francia, dopo la “Notte di San Bartolomeo”, è diventata in Europa la nazione guida. I coerenti non hanno simpatie, non marciano e non passeggiano, ma sono insofferenti del tartufismo all’italiana, perché sanno che nessun pasto è gratis, tanto meno al ristorante radical-chic! (Pubblicato in “ItaliaOggi”, 14 novembre 2001, pag. 1)