IRAP e “principio di cassa”

 Contro l’IRAP, il più assurdo dei tributi, invenzione italiana, sin dall’origine (D.Lgs. 15.12.1997, n. 446 e 10.4.1998, n. 137) le critiche si sprecano soprattutto per essere una punizione a chi crea occupazione [i]. È sicuramente frutto di una mente fiscalmente forcaiola contro chi produce posti di lavoro a cui hanno fatto da sponda:

  1. una sentenza costituzionale (21.5.2001, n. 156), che ha ripetuto il dispositivo dell’art. 2 della Legge, sottolineando il concetto “autonoma organizzazione”, il quale, nonostante di non difficile corretta interpretazione, dato in pasto alla magistratura ordinaria e tributaria, è diventato un moloc invincibile;
  2. un serie aperta di sentenze della Cassazione, che ha tentato senza successo e spesso con incoerenza e contraddizione, di attenuare l’impatto socio-economico di un tributo, in cui mettono le mani grifagne anche le amministrazioni tererritoriali. Il principio fondamentale sul quale opera l’interpretazione della Cassazione rimane l’applicazione concreta dell’autonoma organizzazione. Sulla base di questo concetto  la Corte Suprema, con ordinanza 28 maggio 2009, n. 12653, ha ribadito l’esenzione dall’IRAP del professionista che svolge solo attività di sindaco e per il professionista che, con autonoma  organizzazione, svolga attività anche in altri campi, per esempio: la consulenza societaria, tributaria ecc., l’esenzione per la parte di reddito prodotto in qualità di sindaco (Cassazione, 9 maggio 2007, n. 10594 e  28 maggio 2009, n. 12653).  Si ritiene, giustamente, che l’attività di sindaco non esige un’organizzazione autonoma, sia perché la prestazione è strettamente personale sia perché non c’è niente da organizzare trattandosi di attività svolta nella sede della società controllata secondo calendario predeterminato o imposto dagli amministratori per le convocazioni di riunioni consiliari o assembleari. Senza intento di generalizzare un caso specifico, ma per dimostrare l’assurdità del tributo, si faccia il caso di un professionista che ha svolto fino all’anno x attività di sindaco e in altri campi emettendo parcelle non pagate. Nell’anno (x+y) incominci a svolgere la sola attività di sindaco, per il che non deve corrispondere l’IRAP, ma incassi anche un credito pregresso relativo ad attività consulenziali. Si pone la domanda: deve corrispondere l’IRAP su questi incassi tardivi extra-sindacali? Il dubbio può venire dalla considerazione che il regime di cassa, sposta la competenza reale dei ricavi nell’esercizio di riscossione. Ma è dubbio inconsistente, perché l’autonoma organizzazione non può inseguire la competenza dei ricavi, essendo una realtà legata alle modalità di prestazione dell’attività in un certo momento e non a fenomeni finanziari successivi. A prescindere dalla infondatezza del tributo in generale, può darsi che nell’anno della prestazione di attività di consulenza esistesse una qualche forma di organizzazione di studio (autonoma è un aggettivo maltrattato), ma tale organizzazione, per evoluzione (o involuzione) dell’attività, tale organizzazione non sia più esistente nell’anno di riscossione, e, allora, l’IRAP non dovrebbe porsi come obbligo tributario nel momento della riscossione, quando ormai non esiste più alcuna attività o forma di organizzazione né autonoma né non autonoma;
  3. non si rinvengono precedenti giurisprudenziali sul tema specifico, ma riferimenti a considerazioni pseudo dottrinali, che qui si contrastano con decisione, perché infondate sul piano normativo e sulla logica del sistema dell’IRAP:
    1. esistendo un modello UNICO PF, in base al quale il professionista che abbia cessato l’attività o gli eredi del professionista defunto, avrebbero l’obbligo di tenere aperto il rapporto fiscale, sine die, secondo la Circ. dell’Agenzia delle Entrate 16 febbraio 2007, n. 11, § 7.1. Ma questa impostazione è contraria alla legge istitutiva e regolamentativa dell’IRAP, a parte la constatazione, scontata, che i moduli dell’Agenzia delle entrate non possono istituire obblighi autonomi dalle norme, ma semmai, quando non creino ulteriore confusione, applicare, sul piano pratico e modulistico, solo meri adempimenti di legge. Inoltre, l’obbligo di tenere aperta a tempo indeterminato la partita IVA crea dubbi di costituzionalità per diversità di trattamento con la liquidazione delle società e la conseguente cancellazione dal Registro delle imprese, che trascina la perdita della partita IVA. Peraltro, non bisogna nemmeno sopravalutare la portata delle circolari dell’Agenzia delle entrate e dei modelli di dichiarazione, che, per costante giurisprudenza della Corte di cassazione non hanno natura di fonte normativa per il contribuente e per il giudice tributario ;
    2. che si tratti di una interpretazione arbitraria dell’Agenzia è evidente dal fatto che la autonoma organizzazione deve esistere al momento in cui si realizza il ricavo; però, non anche quando tale attività non esiste più. Diversamente, si finirebbe per retrodatare l’autonoma organizzazione al momento di effettuazione materiale della prestazione. Invece, il principio di cassa, che è stato scelto dallo stesso legislatore, sposta ex lege, il momento all’atto della riscossione, quando possono non sussistere più i presupposti logici dell’IRAP. Infatti, l’art. 3, comma 1, Legge 446/1997, prevede che «Soggetti passivi dell’imposta sono coloro che esercitano [si noti l’indicativo presente] una o più delle attività di cui all’art. 2»;
    3. l’art. 11, comma 3, del Decreto Legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, istituisce un evidente “principio di correlazione” tra costi e ricavi o più precisamente la “Determinazione del valore della produzione”. Ora, constatiamo che la riscossione di un credito ad attività non più esistente non riesce a inserirsi in alcun rapporto correlativo né in una “determinazione del valore della produzione” e, ove fosse accettabile la tesi della citata prassi, si avrebbe la tassazione contra legem del solo isolato ricavo;
    4. l’art. 14 della legge IRAP recita: «L’imposta è dovuta per periodi d’imposta a ciascuno dei quali corrisponde un’obbligazione autonoma. Il periodo d’imposta è determinato secondo i criteri stabiliti ai fini delle imposte sui redditi». Se il regime di cassa non è un elastico da tirare a piacimento, il periodo di riscossione di un credito pregresso non è periodo d’imposta, perché mancano i presupposti oggettivo e soggettivo;
    5. i sostenitori della tassazione a ogni costo sono riusciti a citare l’art. 35, comma 4, della Legge IVA, che recita: «In caso di cessazione dell’attività il termine per la presentazione della dichiarazione di cui al comma 3 decorre la data di ultimazione delle operazioni relative alla liquidazione dell’azienda…». A parte l’incongruenza e la confusione tra IVA e IRAP, nel caso di un’attività professionale non si può certo parlare di liquidazione dell’impresa o dell’attività professionale;
    6. ma i sostenitori dell’imposizione dell’IRAP agli eredi sono andati anche oltre, citando, a sostegno della loro tesi, l’art. 65 del DPR 600/1973, che recita: «Gli eredi rispondono in solido delle obbligazioni tributarie il cui presupposto si è verificato anteriormente alla morte del dante causa». L’infondatezza dalla tesi è nella lettera della norma; infatti, con il regime di cassa, prima della morte non si é verificato, in capo al dante causa, alcun presupposto impositivo; il “regime di cassa” è il punto basilare di riferimento per l’IVA e i tributi diretti dei redditi professionali, le cui norme devono essere interpretate in modo coordinato, perché costituiscono un sistema logico e coerente. Per l’IVA provvede l’art. 6 del DPR 633/1972, che stabilisce il momento del pagamento (percezione del compenso per il prestatore di servizi) e l’art. 54 del TUIR 917/1986 per l’IRPeF,  che al comma 1 stabilisce: « 1. Il reddito derivante dall’esercizio di  arti  e  professioni  e’ costituito dalla differenza tra l’ammontare dei compensi in denaro  o in natura percepiti nel periodo di  imposta,  anche  sotto  forma  di partecipazione agli utili, e quello delle spese sostenute nel periodo stesso nell’esercizio dell’arte o  della  professione… », in cui le locuzioni “compensi percepiti” e “spese sostenute” sono omonime di “compensi incassati” e “spese pagate”.  Il principio di cassa è indiscutibile già sul piano grammaticale (art. 12 Preleggi) ed esclusivo, secondo la pronuncia della Cassazione 15 aprile 2011, n. 8626. Non rileva il fatto che l’IRPeF, per il quale è dettato il citato articolo 54, sia un tributo diretto, mentre l’IRAP è un’imposta reale, perché conta, invece, il modo di determinazione dell’imponibile, che ha una base parzialmente comune con l’IRPeF cioè con il “regime di cassa”. La conseguenza è inevitabile: il regime di cassa per il professionista è in gran parte la base imponibile dell’IRAP, da qui la conseguenza che la tassazione in questo tributo deve rispettare il principio che un ricavo non va considerato secondo la sua natura economica, ma finanziaria, per cui ne consegue la sua realtà tributaria è quella del momento in cui avviene l’introito del corrispettivo, senza trascinamento con le condizioni organizzative esistenti nel momento della prestazione. Sul piano pratico e per fare un esempio: una prestazione avvenuta in un momento in cui il professionista disponeva di una “autonoma organizzazione” sarebbe soggetta a IRAP, se il relativo ricavo fosse incassato nello stesso esercizio; invece, ove la riscossione avvenisse successivamente quando non esistesse più la condizione soggettiva di tassabilità in IRAP, quel ricavo non potrebbe scontare un’IRAP tardiva e così per gli eredi del professionista e per lo stesso che avesse cessato l’attività o avesse perso l’autonoma organizzazione.

Conclusione.

La legge, la Corte costituzionale e la giurisprudenza di legittimità e di merito, hanno individuato nella “autonoma organizzazione” l’elemento che determina la debenza o l’esenzione del tributo; il regime di cassa determina anche il momento in cui il compenso diventa ricavo imponibile in IRAP; ne deriva come conseguenza logica, ma anche per presunzione di legge, che l’autonoma organizzazione deve esistere nel momento in cui il ricavo si realizza, a prescindere dal tempo in cui effettivamente la prestazione del servizio si è esaurita. Viceversa e sempre per il medesimo principio eziologico, se l’autonoma organizzazione esisteva (e a fortiori se non esisteva) nel momento di effettuazione materiale della prestazione, ma non esiste più nel momento in cui il relativo valore, per il combinato disposto del fondamento base (autonoma organizzazione) e del principio di cassa, non si avrà soggezione a IRAP del relativo valore. Questa constatazione non riguarda solo il caso degli eredi del professionista, ma anche chi ha cessato l’attività o è venuta meno l’autonoma organizzazione, prevalendo su tutto lo spostamento operato dal regime di cassa.

Pietro Bonazza
 
 
 


[i] Per un’analisi del concetto di “autonoma organizzazione”  Cfr. P. Bonazza, IRAP. Principio di capacità contributiva e corte costituzionale, in Boll. Trib. 2002, n. 21, pag. 1549 e sito Internet: www.ildialogo.it, 1.7.2004.