Da Onu, Uem, Fmi, Ocse e compagnia cantante (canta anche il Nobel Modigliani) arrivano ai governanti di Roma (purtroppo governano anche il resto dell’Italia) inviti, quasi ultimatum: mettete a posto la previdenza, perché siete già in pericoloso ritardo o non ce la farete più! Amato, apprezzato statista anche all’estero (dice un suo attuale interlocutore. Non me ne ero accorto. Chiedo scusa!) e uomo delle istituzioni (lo dice Baget Bozzo, suo ex sconsolato compagno. Non ho capito di quali istituzioni. Chiedo scusa, don Gianni,… da lontano, per prudenza!), Amato, dicevo, abbozza, ma rinvia al 2001, per non scontentare la CGIL, con cui ha avuto indimenticabili legami. Giusto. Ma lo sanno quei signori, capaci solo di rimbrottare, che a Roma i due problemi più importanti sono il totopremier e la marcia finocchiona? Chissenefrega delle pensioni? Ma… dico, io: è questo il modo di rompere le uova, quando il menù è fatto di salami?Eppure sono anni che i signori di quelle istituzioni puntano l’indice. Roma ha risposto con una riforma che se fossi il Dini (Dio me ne guardi!) non la vorrei abbinata al mio nome, se non altro perché è servita a peggiorare la situazione. Invece, il Lamberto ne va fiero.Ora il problema ha due facce: l’economica e la politica. La prima è arcinota soprattutto alle confederazioni sindacali riunite, che fingono di non sapere: è fatta di numeri demografici e la demografia, si sa, sbaglia di poco, perché la matematica probabilistica non è un’opinione. I numeri dicono che 2/3 della spesa statale è assorbita dalla previdenza, nel ‘98 le morti hanno superato le nascite, nel 2050 vi saranno 16 milioni di italiani in meno e dei 41 viventi il 35% avrà più di 65 anni e via di questo passo. La scelta più immediata e a tutti nota è l’elevazione dell’età pensionabile, altro che 57 anni, a meno di accorciare poi la vita dei pensionati, che fa un po’ contraddizione col pur encomiabile accanimento terapeutico attuale. Oddio, bastaerebbe non avere più soldi per pagare le pensioni che i pensionati si accorcerebbero da sé… per fame. La seconda faccia del problema è più complessa da capire in Italia, dove i politici sono così bravi a recitare da intelligenti, che all’estero, dove pure non sono scemi, non riescono a interpretarci. Ma dove sbagliano gli stranieri? Nel fatto che ritengono che noi indigeni ci capiamo qualcosa; invece no, ci capiamo meno di loro. Prova ne sia che politici e sindacalisti, egoisti e preoccupati solo del proprio “particulare”, se fossero minimamente intelligenti capirebbero che gli elettori invecchiano e, anche se siamo il popolo più longevo della terra, parecchi anche muoiono, mentre quelli che alcuni anni fa votavano per la prima volta per la Camera e non anche per il Senato, alle prossime elezioni, raggiunta la maggiore età elettorale, voteranno gli inquilini di Palazzo Madama. Quali nuovi equilibri si prospettano per i partiti? E i sindacati si illudono di continuare a contare sui pensionati? Molti fedelissimi saranno morti, molti nuovi vivranno nell’incubo di una illusione, che scoppia.Forse non se ne rendono conto. Il grande guaio è quello che, per esempio, fa dire ai compagni diessini che il partito non sa più colloquiare con i propri simpatizzanti. Se sei occupato a gestire il potere, non riesci a conoscere i problemi della gente che vota. Se tutti i governanti viaggiano con auto blu e staffette di poliziotti davanti e dietro a sirene spiegate per le vie di Roma è difficile capire i problemi di chi deve prendere l’autobus per la Magliana. Se quando si ammalano vanno in cliniche private o svizzere è impossibile capire come va la sanità nel paese. Se parlamentari e sindacalisti sono ben forniti di pensioni, appannaggi e privilegi di vario tipo che si integrano e si cumulano, è difficile capire i problemi reali di una casalinga settantenne.Un tempo un’istrione, che pure non viaggiava in autobus, si affacciava spesso al balcone di Palazzo Venezia e parlava alla e con la folla. Alla fine qualcosa ne capiva e si faceva capire. Oggi, se va bene, parlano in un cellulare e stanno davanti a un televisore. Capisce il popolo un agente di cambio davanti al monitor?

 

Fonte: Giorgio Gandola, “Baget Bozzo: « Io, prete, e il casto omosessuale »”, in “il Giornale”, 10.6.2000, pag. 6