Malato e malattia: una coppia che superficiali benpensanti dispensatori di giudizi hanno ridotto a contrapposizione dialettica, costituiscono, invece, una endiadi di concetti indissolubili e unidirezionali. Rappresentano un chiaro esempio di un percorso circolare causa-effetto, di un rapporto logico che collega continuamente il processo deduttivo a quello induttivo attraverso constatazioni di carattere matematico-probabilistico, cioè statistico. In realtà, la medicina si muove in una specie di random walk e, se si potesse estendere ad essa un concetto della fisica, si presterebbe a un’applicazione del “principio di indeterminazione” di Heisenberg. Questo spiega lo stupore del medico davanti a ogni guarigione insperata e a ogni morte non prevista. Il medico, in senso astratto, compie per ogni diagnosi, ma anche per la terapia, un percorso sillogistico: la medicina, intesa come scienza medica, unitamente alla mia esperienza mi rappresentano un quadro astratto da confrontare con il caso di specie e, io medico operativo, sono chiamato a dare concretezza alla conclusione formulando la diagnosi. Ora, di scienza si tratta e non di dogmatismo come ha insegnato Ippocrate, e non fa differenza che ci si riferisca al medico di base o di corsia. E questo è il punto che ci rimbalza all’inizio: malato o malattia?

L’allungamento della durata della vita, l’insorgere di nuove manifestazioni patologiche, le difficoltà crescenti delle diagnosi per via tattile o intuitiva, la necessità di disporre di strutture complesse, costose e in continua evoluzione tecnologica, la sensibilità dei pubblici poteri per la salute intesa come problema collettivo e politico, hanno costretto la medicina a ricorrere all’organizzazione, che si è trasformata da intervento occasionale in caso di epidemie a strutture permanenti per soddisfare le crescenti esigenze della popolazione. La coppia malato-malattia inglobata nel fenomeno organizzazione è diventata fatto sociologico, con conseguenti ricadute sull’insegnamento della medicina e il rapporto ospedale-università.

Ma qui il fenomeno si complica, perché si deve dare risposta alla domanda: chi è in grado di esaminare una prospettiva sociologica della medicina? Il politico o un medico dotato di particolare sensibilità, scienza ed esperienza. Un figura eminente e purtroppo rara di medico, che associa tutte le caratteristiche per esaminare il fenomeno, è il prof. Odoardo Visioli, cardiologo ospedaliero e docente universitario di fama, attento conoscitore di aspetti organizzativi, che da anni si occupa di sociologia applicata alla medicina e le cui esperienze di pubblicista e relatore a convegni sono raccolte in un prezioso libro, di recente pubblicazione, che ha un titolo squisitamente filosofico: “Possibilità dell’agire e motivazioni dell’essere. Medicina e Università nella società in cammino verso il futuro“. Visioli realizza una compenetrazione e al tempo stesso una divisione non contrappositiva tra malato e malattia e per realizzare l’obiettivo premette un richiamo e uno sviluppo della filosofia dell’essere, passando per Nietzsche e Romano Guardini in un sotteso, ma inevitabile richiamo a un esistenzialismo risalente ad Heidegger ricco di domande e meno di risposte.

Il libro di Visioli ripresenta una serie di interventi staccati nel tempo ma non nel filo conduttore, talché risulta opera organica ed equilibrata, che si propone al lettore non solo specialista, perché la soluzione del problema organizzativo della tutela della salute riguarda ognuno di noi, come malati o potenziali malati e cittadini, che, attraverso il voto, esprimono governi e programmi sanitari.

Difficile, per la vastità dei temi collegati, ma costituenti tante tracce di un’unica trama, è proporre una sintesi, che sarebbe, comunque, riduttiva rispetto all’intento dell’autore, che quei temi complessi sviluppa con la profondità che non deriva solo dalla cultura proteiforme, ma anche dall’esperienza vissuta nelle corsie dell’ospedale.

Aiuta non poco a capire i complessi rapporti tra Università e Ospedale, cioè tra malattia e malato, la pag. 259 del testo, in cui l’autore presenta in una tabella a due colonne le funzioni, diverse ma integrate, delle due istituzioni. E qui si impone uno statuto epistemologico, da intendere non solo in senso astratto, ma propositivo di una interpretazione del problema sanitario attraverso l’organizzazione a rete. Si è tentati di spingere il fenomeno al superiore livello di governo della rete, ricorrendo al concetto di cibernetica, nel suo significato più recente e programmatico di scienza dell’organizzazione efficace; diversamente l’organizzazione resta priva del suo motore e finisce per isterilirsi in proposte e programmi destinati a rimanete solo ipotesi “sulla carta”.

Il pregio maggiore dell’opera di Visioli è una considerazione globale che attinge la sua vitalità propositiva nei percorsi della filosofia e della sociologia, ma l’utore resta essenzialmente un cardiologo, per questo io intendo la sua opera un itinerario “dal cuore del malato al cuore dell’uomo”, che porta all’essere fiducioso nel progresso della scienza, ma capace di intravedere che oltre i suoi insormontabili limiti c’è la fede. La scienza, come la ragione, non può tutto e anche se assistiamo a un continuo spostamento del bersaglio, che alimenta la speranza, il malato non può dimenticare ciò che lo attende dopo l’esaurimento delle risorse del bios.

Nelle corsie dell’ospedale, nei laboratori scientifici, nella aule universitarie si applica, più o meno consapevolmente, il giudizio di Max Weber: “non esisterebbe il possibile, se ogni giorno non ci fosse qualcuno che tenta l’impossibile” e la statistica serve appunto a dare veste di legge, seppur solo probabilistica, al moltiplicarsi dei casi risolti con il coraggio e il sacrificio degli autori dell’impossibile.

Auguro a questo libro larga diffusione, ma soprattutto che sia letto e meditato dal Ministro della Salute, se ha amore per la conoscenza e l’intenzione di attuare saggi e consapevoli programmi di governo del problema sanitario, che nello spirito di Visioli attinge al presente per spingersi verso il futuro.

Pietro Bonazza