Una delle locuzione più tormentate del nostro ordinamento tributario è la “fattura per operazioni inesistenti”. A prima lettura sembra facile, perché “operazione inesistente” sembra sinonimo di “operazione che non c’è o non c’è stata”, per cui, se viene emessa una fattura in relazione a essa, sembra di poterla tradurre in “fattura per una operazione che non c’è”. La vita si complica quando si deve stabilire che cosa si intende per “inesistente”. “Inesistente” l’operazione da un punto di vista oggettivo o materiale, oppure inesistente il soggetto (destinatario) o i soggetti (l’emittente “e” il destinatario)? Transeat! Limitiamoci al caso di inesistenza oggettiva. È sufficiente dire che l’operazione manca? Nossignori! Per la Guardia di Finanza, mancano anche quelle operazioni che, “pur esistendo”, si traducono in fatture che non hanno tutti i requisiti formali previsti dalla legge IVA. Cosicché si fa presto a dire “fattura per operazione inesistente”. Quanto meno: fa presto l’Amministrazione finanziaria, con il risultato di innescare accertamenti e processi penali che, nelle rispettive sedi processuali, è difficile – qualche volta impossibile – smontare. Ma non è finita. La legge sanzionatoria fiscale aveva previsto l’esistenza concreta di una finalità, quale causa della emissione. Doveva esistere, cioè, una specie di consilium fraudis, nel senso che la fattura doveva essere seguita dalla sua “utilizzazione”, senza la quale, mancando il “dolo specifico”, non veniva a esistenza la materialità del reato. Doveva cioè crearsi un asse in cui la fattura era la causa e la sua utilizzazione l’effetto, il tutto determinato da un atteggiamento della coscienza determinato a rendere concreto il disegno delittuoso. Tutto questo sembrava chiaro nella sentenza 19.10.1988, n. 10100, della III Sezione Penale della Corte di Cassazione. Sappiamo che fine ha fatto il concetto di “dolo specifico” nel sistema penale italiano, cancellato da quella giurisprudenza che ritiene il “dolo specifico” in re ipsa. Come a dire: c’è sempre e in ogni caso. Questo passaggio (in effetti è un saltum) porta alla conseguenza finale antigiuridica, per cui la “fattura per operazione inesistente” diventa reato anche senza la sua utilizzazione, poiché ne è sufficiente la mera detenzione anche non seguita da registrazioni o altro, che ne consentano la utilizzazione, cioè la produzione di “effetti”. Ma non è finita: l’annullamento del requisito del “dolo specifico” trasforma, in concreto, un reato classificato “reale” in “reato di pericolo”: cioè diventa delitto la semplice detenzione di una fattura, ancorché non utilizzata. Sembrerebbe questa la conclusione, a cui si perverrebbe leggendo una sentenza della Cassazione Penale, Sezioni Unite, emessa il 25 ottobre 2000. Attendiamo di poterla verificare per esteso con la speranza di poterci smentire e commentarla in termini possibilmente opposti. Intanto, per attenuare l’ansia dell’attesa (sul sito “ildialogo” è “vietato fumare. F.to Veronesi” e ripieghiamo sulle barzellette), ci possiamo concedere una divagazione del tipo seguente. Leggendo certe sentenze, soprattutto penali, viene da chiedersi: qualche giudice sarà un appassionato dei film di Clint Eastwood serie Callaghan “44 Magnum”? Ma è un pensiero fugace, perché a quell’attore hanno dato l’appellativo di fascista e, allora, la domanda è inconferente. Ragionando de residuo, la spiegazione deve essere un’altra e cioè la esaltazione del concetto di reato di “pericolo. Ergo, chi si azzarda a tenere in ufficio una fattura per “operazione inesistente”, magari perché non ha ancora fatto in tempo a respingerla o, peggio, se non lo ha fatto dopo mesi, perché in effetti non sa se è possibile restituirla al mittente (Silvio Moroni, su “Il Sole-24 ORE”, 30.9.1986, pag. 10, scrisse che il destinatario non può rifiutare la fattura, ma deve registrarla e poi emettere la nota di addebito ex art. 26 DRP 633/1972, mentre Raffaele Rizzardi, sullo stesso foglio, il 7.7.1987 sostenne che “La fattura va solo respinta”), allora “peste lo colga”. Dov’è la ratio? (perché il bello è che noi italiani odiamo il latino, ma lo usiamo come metafora o come eufemismo). La ratio è come il fiato della Sibilla, puoi intenderlo come ti piace. Tentiamo di interpretare questa evanescente ragione metafisica. Nella fattispecie, è come avere in tasca una “44 Magnum”: devi avere il porto d’armi, perché se te la trovano addosso, anche se la canna è segata ed è scarica, sono guai. Così la fattura. Un consiglio agli amici: non guardate i film polizieschi, ma passate il vostro tempo libero a spulciare fatture fasulle nei vostri archivi e, se non ne avete, date una mano in quelli degli altri. Può essere una nuova forma di volontariato. Facciamo una onlus?