Humanitas 59 (2/2004)
Recensioni (pag. 405)
Filosofia
PIETRO BONAZZA, Topica del Tempo, Penta, Brescia 2003, pp. 112.

Può esistere un “evento interno” in assenza di un evento esterno, che è il tempo oggettivo al di fuori dell’evento psicologico? «Esiste l’immobilità»? Il tempo totale, posto che sia, è immobile? Ma se lo è, «allora che cos’è il mio tempo-evento»? Se il tempo è il luogo in cui accade un evento, è concepibile un tempo senza evento? Dal cuore di questo piccolo libro, quanto denso di problematiche, queste e molte altre sono le domande incalzanti, con le quali l’autore ci sospinge attraverso un’indagine storica degli antecedenti del pensiero, la quale ci vuole qui attori dell’interrogazione che all’ampio “prima” della serie delle cause pone noi- troppo ardito sarebbe dire quali “effetti” – più verosimilmente come inquisitori instancabili e inappagati sulla strada molteplice della ricerca del concetto di tempo, all’interno del più ampio processo di causalità, che scientificamente coinvolge anche noi come ne fossimo l’ultimo (per ora) tassello necessario.
Il testo pone questioni attorno ad un tema ampiamente affrontato nella storia della filosofia, sul quale trae i punti salienti e le successive acquisizioni del pensiero filosofico attraverso i passi compiuti dai suoi giganti speculativi, quali Platone, Aristotele, Agostino, Cartesio, e soprattutto Kant ed Hegel.
La prima distinzione utile a delineare il percorso tracciato in queste pagine, è quella tra le due prospettive dominanti sulla questione del tempo: l’idea astratta di tempo e la considerazione del tempo come misurazione che deriva da un bisogno sociale. L’autore si sofferma nel valutare quest’ultima come la più originaria e veritativa, seppur non sufficiente, interpretazione del tempo: il tempo è originariamente percezione semplice del prima e del dopo, assume consistenza filosofica nell’essere derivato dal rapporto di causalità – prima astrazione dell’uomo -, infine implica una portata teologica – come emerge dai testi biblici – perché contiene la scoperta della divinità.
La percezione del tempo e la sua “numerazione” nascono dunque, secondo l’autore, prima ancora che inizi il pensiero filosofico. L’etimologia di “Uno”, che lo identifica con “Essere”, conduce al ceppo indoeuropeo; ciò dimostra che l’Uno – l’unico numero possibile e indivisibile, il “semplice” della numerazione, l’atemporale contratto – fu una scoperta anteriore ai Greci: Uno contrapposto alla molteplicità indiscernibile. Con la “Dualità”, infatti, nasce la dialettica che dà avvio alla numerazione, e da lì alla temporalizzazione che assume, però, secondo l’autore, un rilievo sociologico: la misurazione del tempo dipende dalla societas, viene ad esistere nel riscontro dialogico tra uomo e uomo.
Presupposto questo, l’autore si spinge nell’analisi dell’idea-tempo, problematizzando dal suo punto di vista – attento alle reali dinamiche sociali, economi-che e antropologiche – le questioni già poste e non risolte dalla storia della filoso-fia, da Platone e Aristotele come scopritori dell’astrazione, attraverso l’introspezione psicologica di Agostino, il quale riporta il tempo ad una dimensione spirituale e soggettivistica che viene a coincidere con una posizione esistenzialista (nonostante si riconosca la sua eredità neoplatonica), e poi ancora attraverso il criticismo kantiano. Infine, il discorso culmina in quella che dovrebbe essere la svolta hegeliana, nata dalla critica a Kant, ma che sulla scia di quest’ultimo finisce per ammettere, ancora, un riconoscimento della natura intuitiva del tempo nell’uomo, nonostante abbia abolito, attraverso il pensiero autoriflettente, la cosa in sé.
Il libro cerca così di coniugare competenze da economista e da filosofo, in un connubio che sembra essere una provocazione e una chiamata alle armi: colui che studia i fenomeni socio-economici è tenuto ad occuparsi di filosofia almeno quanto uno scienziato di questioni ultime e un metafisico di questioni “seconde” -come direbbe Aristotele – o fisiche. L’economista, infatti, è colui che più di ogni altro è immerso direttamente in rapporti di causalità, misurazione e temporalizzazione, solo che – come viene fatto rilevare – non ha “tempo” di occuparsene. Questo piccolo volume si presenta come un tentativo di dialogo interdisciplinare che dimostra l’inevitabilità del sodalizio in un’epoca come quella contemporanea, pervasa dall’avanzare del Nichilismo e della volontà di potenza, di cui l’economia è «espressione più nascosta o ermetica», ma la cui origine non può essere descritta dall’economista, bensì dal filosofo «che come un critico non chiassoso è confuso tra gli spettatori». E dopo tutto, ancora il tempo non è compreso né dal filosofo, né dallo scienziato che non se ne può curare essendo il suo oggetto ciò che sta nel tem-po, né dal teologo che si occupa di eternità: la definizione del tempo resta oscura. Quando si tratta di tempo sembrano mancare le parole – come successe ad Heideg-ger in Essere e Tempo -, ma se qualcosa si vuole dire davvero del tempo lo si puòtentare negativamente, riflette chi scrive, osservando che dove manca energia manca movimento, manca spazio, manca tempo; quindi – egli sostiene infine nella Conclusione aperta – «il tempo è il pulsare dell’energia». Ma il discorso sul tempo non può finire: solo dei tópoi lo possono ospitare, luoghi dove abita, se ne va e ritorna, nella storia.
Sara Bignotti