In una intervista pubblicata sul “Corriere della Sera” il 9 maggio 1985, Fruttero & Lucentini, autori della fortunata raccolta “La prevalenza del cretino“, alla domanda “Stupido e cretino sono la stessa cosa?” rispondono: «Per lo stupido vale “la definizione di Schopenhauer: è colui che non sa riconoscere la relazione fra causa ed effetto. Invece il cretino, il “post-stupido”, nega che ci sia relazione fra causa ed effetto. Le sinistre europee sono state, in questi anni, uno dei più probanti esempi di questa condizione…». Quindi, il cretinismo è una patologia quando si riferisce a un individuo, pericolosa per chi ne soffre, ma, essendo contagiosa, si amplifica spesso in malattia sociale.

A questa contaminazione hanno dato efficaci contributi gli economisti, soprattutto i più popolari, come Keynes, autore amante del paradosso ed equivoco al punto da far nascere il dubbio che stia parlando a se stesso più che ai suoi lettori: una specie di narcisismo monologico. Ma Keynes era un geniale uomo di spirito, mentre i suoi incalliti epigoni non hanno nemmeno il dono della fantasia.

Il consumismo gli deve molto, il risparmio un po’ meno, ma soprattutto la strutturazione del calcolo del PIL, che essendo impostato sull’uscita, aumenta quando aumentano le spese. Da mera e discutibile espressione contabile è diventato il più importante parametro per misurare l’andamento della macroeconomia. Ma è un parametro deviante e parziale. Basti pensare ai servizi domestici, che se li fa la colf entrano nel calcolo del Pil, perché sono pagati, mentre se li fa la moglie restano esclusi, perché la consorte lavora gratis anche l’8 marzo, a meno che in anticipo a San Valentino il marito le renda omaggio nella bottega del gioielliere.

In questi giorni tragici per il Giappone, colpito da terremoto, maremoto e distruzioni nelle centrali nucleari, i soliti benpensanti, che farebbero rivoltare nella tomba persino il loro santo patrono Keynes, già si fregano le mani e le corde vocali, pregustando la crescita del PIL giapponese, impegnato a spendere palate di miliardi di yen per riparare i danni. Una qualsiasi massaia, che ne sa più di economia di tanti macroeconomisti, prenderebbe a padellate in testa i guru con la testa d’uovo…senza tuorlo. Il guaio è che hanno ragione loro, perché il PIL è fatto così. Il buon senso ci dice che le devastazioni sono delle perdite secche e che le spese per il ripristino di ciò che si è perduto per sempre sono irrecuperabili dispersioni di risorse, a parte le vite umane, che è cinico considerare alla stregua delle cose, ma sono un capitale insostituibile costato alla collettività, che potrebbe essere ripristinato solo dopo venticinque anni, sempre che i nuovi nati non vadano fuori corso e i sopravvissuti, dopo tanto sconforto, abbiano ancora voglia di dedicarsi al rimpiazzo.

Non intendo ripetermi su un argomento che ho più volte trattato e, facendo auguri sinceri al Giappone messo a così dura prova, mi limito a riprodurre di seguito il mio articolo pubblicato sul quotidiano “Italia Oggi” del 27 settembre 2008, pag. 9, con titolo “Le prime a doversi stringere la cinghia sono le caste politiche e sindacali:

 Gli indicatori della crescita economica: americani, europei e orientali, tendono al ribasso. Quindi, come per il tempo, se cala la pressione, è in arrivo il temporale. Ocse, Bri, economisti  associati e sparpagliati, guru della finanza internazionale, specialisti delle grandi banche d’affari, che non sono stati capaci nemmeno di prevedere lo sfascio dei loro bilanci (Lehman Brothers e altri), sembrano tutti d’accordo, come d’accordo sono sempre i profeti del giorno dopo, quelli che pontificano ex eventu. A sentirli c’è da farsi passare l’appetito oggi pensando al domani. Fortunatamente ci sono gli epigoni di Keynes, che quando andava negli States a predicare e alloggiava in albergo, buttava per terra  gli asciugamani puliti per moltiplicare il lavoro degli addetti alle pulizie. Pressappoco come fare un buco per terra e poi, non sapendo dove buttare il mucchio, scavare un nuovo buco e così all’infinito…fino alla pensione. E qui si capisce la differenza tra l’emmental e il formaggio grana. Per i keynesiani non c’è da preoccuparsi, perché, fortunatamente (secondo loro), il 2008 è un anno pieno di disastri, naturali e non, che daranno impulso alla crescita!

Gli stati Usa del Golfo sono stati investiti, nel 1992, dagli uragani Andrew e Iniki. Un disastro per tutti, compagnie di assicurazione comprese. Ma è stata una benedizione, perché metà della crescita del Pil, incentrato sulla spesa, è stata attribuita alle spese per riparare i danni!

Leggiamo sulla stampa che la guerra in Ossezia farà bene al Pil russo; che il Pil cinese, nonostante la débacle delle Olimpiadi, sarà salvato dal terremoto dello Sichuan. Presto si leggerà che gli uragani Gustav e Ike saranno manna dal cielo e così pure l’accollo al pubblico erario statunitense dello sfascio delle banche d’affari! I governi saranno costretti a spendere, incrementando il Pil, anche se i bilanci pubblici faranno ancor più acqua.

Se gli indicatori economici tendono al ribasso, ma intervengono fenomeni e fatti terribili che ne invertono la direzione, perché, già che ci siamo, non auspicare una terza guerra mondiale, possibilmente atomica? Così diventeremmo tutti ricchi, probabilmente con un cappotto di legno indossato un metro sotto terra! Corna, bicorna!

È paradossale, ma ineccepibile, finché il mondo non si deciderà a cambiare: le attuali regole contabili e i criteri per calcolare la crescita economica, che è altro dal benessere.

Fortunatamente non tutti gli economisti la pensano nello stesso modo. Non sembra fuor di luogo ricordare che Cicerone, genio della lingua latina ma non certo un economista, ha scritto più di duemila anni fa, che “magnum vectigal est parsimonia” (grande ricchezza è la parsimonia). I governi italiani della spesa allegra sono stati come uragani americani o terremoti cinesi, ma hanno provocato recessione e non crescita.

Il governo attuale sta chiudendo i cordoni della borsa, per necessità (la borsa è vuota) più che per convinzione (sarebbe bello poter gratificare gli amici), ma gli ex negano l’evidenza.

Ora, dobbiamo considerare che la spesa pubblica, stimolata o no da fatti umani o naturali, può produrre effetti negativi, anche perché mette in moto un rapporto di crowding out (spiazzamento) con la spesa privata per investimenti. Nella Ue il singolo stato, non potendo più battere moneta, può invece incrementare la pressione fiscale, che si scarica sull’inflazione, a breve specie se a crescere sono le imposte indirette. L’incremento della pressione fiscale finisce per danneggiare lo stesso gettito, perché il governo, perde flussi di entrata, se, bloccando la crescita, riduce la base imponibile oltre che incentivare l’evasione. Può anche ricorrere al debito pubblico, facendo salire i tassi d’interesse nominali e reali, che, ancora, si scaricano sull’inflazione. Si spiega così buona parte del tasso di inflazione interno al 4,1% e la crescita zero prevista per il 2009.

Gli italiani sono un popolo con le bretelle, perché la cinghia gli tira sulla pancia! Ma, se la riadottiamo, i primi a doverla stringere sono gli obesi, cioè le caste politiche e sindacali, le amministrazioni locali del panem et circenses, il sottogoverno, i consumatori di manna dal cielo, i furbetti di ogni bandiera, i lavoratori malati di gomito, gli evasori, i piloti di Alitalia, ecc.

 Tornando all’oggi: il Pil giapponese crescerà, ma il Giappone ne esce impoverito e con lui l’economia mondiale, perché – è bene non dimenticarlo – quel paese è una locomotiva non un carro a rimorchio.