Il detto popolare “il tempo è un grande medico” è una sciocchezza, perché il tempo può produrre l’effetto opposto: non curare alcun male e peggiorare le cose. Come tanti altri detti, ha un effetto consolatorio sull’inevitabilità della morte. Quella sì è un grande medico, perché mette a posto tutto e in via definitiva, restituendo l’uomo alla terra da cui proviene. Ma spesso quel detto è anche un ipocrita giustificazione per chi non ha voglia di reagire, di lottare per cambiare le cose, affidandosi a una “Provvidenza tuttofare”.

Lo diceva anche Giulio Andreotti, forse con intenti diversi, quando riteneva che col tempo tutto si aggiusta e, a posteriori, sappiamo che non è vero. Basterebbe chiedergli se in Italia la politica è migliorata o peggiorata lasciando che le cose si aggiustassero da sole. Forse risponderebbe con uno dei suoi sorrisetti ambigui o con qualche battuta di cui è maestro.

La verità non sta nell’opposto, perché non basta lottare e reagire per cambiare le cose. Bisogna cambiare le cose, ma “in meglio”.

È interessante notare che il “Laissez faire et laissez passer” è un’idea di liberismo economico, che non è valida in termini assoluti, nemmeno per i liberali di antico stampo. Può servire a contrastare certo operativismo fanatico di chi crede di poter cambiare il mondo, soprattutto se nell’agire, quasi sempre illusorio, pretende di forzare e sovvertire le leggi dell’economia, spesso ipocritamente accampando motivazioni di welfare. In genere si tratta di rivoluzionari che non conoscono le conseguenze inintenzionali del loro tumultuoso operare, che nasconde la sete di potere.

Ma, allora, hanno ragione gli Andreotti? No! Si deve invece preferire un conservatorismo illuminato e volto a un progresso non tumultuoso, che non butta via il bambino con l’acqua sporca, fa tesoro degli errori passati e lavora in silenzio per il bene comune.

In conclusione: non la conciliazione degli opposti, non un eclettismo, che sa tanto di sintesi postuma e inutile, ma un agire onesto e costante. Giulio Cesare ci ha insegnato che la forza delle sue legioni non stava nei legati o nei tribuni, ma nei centurioni, che lui pagava e ripagava, ma non consentiva che si pagassero da sé, perché sarebbe stato furto ai danni dell’esercito.