Sera del 13 marzo 2013. Un uomo vestito di bianco si affaccia alla Loggia di San Pietro e con largo sorriso invece di un discorso formale colloquia con una piazza stracolma e parlando a braccio, naturalmente emozionato, colloquia con tutti i presenti, fedeli e non, in veste di Vescovo di Roma. Che sia prima di tutto un papa lo si capisce solo dall’abito, perché dalle parole è un Vescovo e come lui lo è l’emerito papa Ratzinger.

Un papa non deve necessariamente:

  • sedere su un trono e avere una corona (Triregno) in testa. Questi simboli sono dei re, ma un papa è ben più di un imperatore. Cristo insegna;
  • avere il volto ieratico di Papa Pio XII, che pure fu grandissimo. Il nuovo papa sfodera un sorriso largo, che infonde speranza, come il suo predecessore, di cui ricalca semplicità e affabilità: poi si vedrà;
  • annunciare proclami. Papa Francesco benedisse tutti cumm indulgentia e pregò con la folla.

Non dimentichiamo, però, che il nuovo papa è un gesuita e i gesuiti sono di cervello fino: Lui, inoltre  è stato professore di letteratura e un ammiratore di Jorge Luis Borges ed è laureato in filosofia. Come dire che dietro quella semplicità e quel sorriso bonario si cela un ricchissimo bacino culturale, che può lusingare gli intellettuali cristiani e non.

Fin qui il primo promettente incontro, ma c’è un seguito immediato: il 16 marzo avviene la prima udienza pubblica con i giornalisti. Fra le varie dichiarazioni, una frase colpisce: «Come vorrei una Chiesa povera per i poveri». Riflettiamo: non è una dichiarazione d’intenti, è l’auspicio di un sacerdote che è vissuto sempre con massima e convinta frugalità, pur potendo avvalersi dei benefici di un’alta carica ecclesiastica. Quindi, una personale scelta di vita, che affascina perché coraggiosa e sincera nella sua intenzionalità. Ma merita interpretazione, perché il cervello allenato di un gesuita merita senz’altro uno sforzo interpretativo e perché un conto è la scelta di povertà personale e altro è estenderla a una istituzione.

Per l’interpretazione non sono attrezzato, ma, se anche fossi, mi asterrei, almeno per prudenza e rispetto. Non facciamo inutili esercizi ermeneutici, ma un papa, che ha i numeri culturali ricordati e un carisma gesuitico, non può non considerare che la Chiesa, proprio in quanto istituzione, ha esigenze di pesanti costi organizzativi e gestionali non una tantum, ma costanti e quotidiani. I poveri non possono soccorrere i poveri, quindi una Chiesa povera non potrebbe aiutarli. A mio avviso, Papa Francesco ha enunciato quell’auspicio, con due significati di non immediata percezione:

a)      la ricchezza per la Chiesa deve essere un mezzo non un fine e, se è un mezzo, l’attenzione deve sempre essere rivolta francescanamente vero i bisognosi. Più che una povertà sic et simpliciter deve essere un sensibilità e un’attenzione verso gli altri, che significa non accumulare ricchezza, ma donare tutto ciò che eccede il bisogno e la Chiesa di bisogni ne ha tanti. Quello del Papa sembra più un monito verso chi, nelle leve del potere delle gerarchie, ha pensato, non tanto per sé (esiste ancora il nepotismo cardinalizio?), ma alla Chiesa stessa, impegolandola in affari non certo cristiani. I gestori delle ricchezze ecclesiastiche si sono spesso illusi di aumentare le disponibilità della Chiesa con operazioni finanziarie, che oggi il Papa sembra aver voluto stigmatizzare con quel suo auspicio, che, pronunciato da un uomo coraggioso nella sua patria, diventa un monito;

b)      il significato più profondo della funzione della Chiesa rispetto alla ricchezza la troviamo nei Promessi Sposi (Cap. III) ove Alessandro Manzoni, in riferimento al monastero (la similitudine con la Chiesa pare pertinente), fa dire a Fra Galdino: «…noi siam come il mare, che riceve acqua da tutte le parti, e la torna a distribuire a tutti i fiumi.» Inoltre, Papa Francesco, professore di letteratura, penso conosca anche la Divina Commedia, se non altro attraverso l’ammirato conterraneo profondo dantista Jorge Luis Borges, e il Canto XIX dell’Inferno. Sembra che la storia di ripeta e la Chiesa di oggi abbia bisogno di essere raddrizzata come ai tempi di Dante. Abbiamo letto interpretazioni di un auspicio al “pauperismo”. Chi lo ha scritto non conosce il significato della parola, ma possiamo essere certi che il Papa, proprio per cultura, lo conosce benissimo.

Una considerazione finale: nel Conclave del 2005, quando si profilò l’elezione di Bergoglio al Sacro Soglio, il cardinale pregò i grandi elettori di far convergere l’elezione su Joseph Ratzinger. Ora non gli è riuscito di scansare il peso e ha accettato. Ma Papa Bergoglio ha accumulato otto anni in più e la Chiesa un maggior numero di magagne. Forse questo è il motivo che lo ha spinto a chiedere al popolo cristiano preghiere per Lui.