Ho dubitato che Rousseau fosse Emile. Ma un Emile un po’ sciocco e anche sporcaccione, che si divertiva a lanciare ciliegie nella scollatura della compiacente e compiaciuta signorina Galley (vedi “Le confessioni”). E non era che il più innocente dei suoi vizi, che lui stesso ebbe cura di descrivere, ma non si è certi della completezza. Evviva la sincerità, anche se pruriginosa, noiosa e   patetica!
Si dirà: anche i grand’uomini hanno le loro debolezze. Per esempio: Mozart amava il turpiloquio e, non pago, le parolacce anche le scriveva; Byron era un incestuoso; Baudelaire narcisista e megalomane e così via in una serie pressoché infinita, che fanno la gioia dei ricercatori di aneddoti di umana spazzatura.
Non lancio pietre! Avere debolezze è un diritto. Anzi, per l’ottimista Mandeville i vizi privati sono pubbliche virtù.
Però, quel Rousseau mi sta un po’ in cagnesco, con quel suo “contratto sociale”, che mai nessuno ha sottoscritto e, lui per primo, nelle lettere al marchese de Mirabeau, ha rinnegato, dichiarandolo inapplicabile ai comuni mortali (vedi Pierre Gaxotte, La rivoluzione francese, Milano 1989, pag. 67). Ma, se persino al suo inventore, il Contract, risultò inapplicabile ai “comuni mortali”, a quali mortali si riferiva? Agli elitari? Potenza dei padri della democrazia moderna, che tanto affascinarono i cosiddetti grandi pensatori del Novecento, come, per esempio, Norberto Bobbio!
Forse la colpa non è nemmeno sua. Ma l’essere diventato il simbolo pensante di una rivoluzione da macellai, me lo rende insopportabile.
Ah! Che originali quei francesi! Hanno commissionato all’ing. Eiffel di inventare un traliccio dell’alta tensione e adottato un ginevrino per fare da padre alla più pazza e sanguinaria delle rivoluzioni della ragione, governata da avvocaticchi di paese in nome di un popolo da suburra.
Per tornare a Rousseau, penso anche che sapesse che le ciliegie sono lassative: meglio buttarle sul davanzale delle signore.

Pietro Bonazza