Messaggio del prof. Pietro Bonazza indirizzato il 24 giugno 2017 ai suoi allievi nella celebrazione del 50° anniversario del diploma in ragioneria – Istituto Tecnico C. Battisti di Salò – V B 1967

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 Cari allievi, senza ex, perché allievi si resta tutta la vita e così per l’insegnante. In questa circostanza intendo fare con Voi due considerazioni. La prima riguarda me stesso: mi sento debitore per un debito che non potrò pagarVi, perché non ha scadenza e sono certo che Voi non potrete mettermi in mora. In che consiste? Un (una) insegnante è un fortunato che impara insegnando – oggi si direbbe learning by teaching – (la prof.ssa Mariele Staffoni, qui alla mia destra, Vostra amabile insegnante d’inglese, potrà correggere la mia pretesa di bilinguismo). Ma chi è veramente un insegnante? È un soggetto che per vari motivi deve affrontare quotidianamente il difficile compito di rendere facile le pieghe più difficili della sua disciplina e in questo sforzo, che, purtroppo non sempre riesce secondo l’intento, lui stesso inconsapevolmente impara e si arricchisce quanto più i destinatari del suo messaggio recepiscono e dialogicamente o dialetticamente restituiscono. Il rapporto tra insegnante e allievo è come un sonar: parte un impulso e se trova un oggetto (in questo caso un soggetto) il segnale viene restituito e da quel momento sorge il debito dell’insegnante. Io Vi ringrazio, perché con Voi i miei messaggi sono andati sempre a buon fine e io mi sono arricchito dell’approfondimento nella disciplina insegnata, ma soprattutto nel valore morale e umano di un rapporto, che mi ha dato la constatazione che il segnale del mio sonar non si è perso nel vuoto. La seconda considerazione riguarda la circostanza odierna. Ogni celebrazione ha sempre una carica emotiva di nostalgia, che è il fortunato, ma al contempo rammaricante effetto di possedere una memoria e di rivivere un momento significativo dell’esistenza. Il giorno del diploma segna l’ingresso nella maturità responsabile: è il giorno in cui si chiude un mondo di sogni e inizia quello dell’attesa. Che fare domani? Come sarà il futuro? Non a caso l’esame si chiama “di maturità”, anche se nell’anno 1967 si chiamava ancora “esame di Stato”, formula meno vaga e giuridicamente significativa. Il tempo è fluito per cinquant’anni. Molte attese si sono verificate, altre imprevedibili le hanno sostituite, ma i Vostri bilanci sono positivi e questo è ciò che conta e rende possibile considerare la parte positiva della nostalgia. Ora, io voglio fare un’affermazione apparentemente contraddittoria: abbiate “nostalgia del futuro” e continuate a sognare, considerando che il sogno è l’ambito della speranza. Il tempo non ci appartiene, ma i suoi contenuti dipendono da noi. Vi auguro di continuare la consuetudine dei Vostri incontri, perché lo “stare insieme” e la continuità dell’amicizia sono un fermento che rende sopportabile l’inarrestabile fluire del tempo. Il mio augurio è: “abbiate nostalgia del futuro”.

Il Vostro insegnate, quasi coetaneo, Pietro Bonazza.