Relazione illustrativa accompagnatoria a un decreto legislativo

  L’opera esegetica del giurista è nella interpretazione della volontà della legge non nella valutazione di quella soggettiva del legislatore, quindi deve riguardare la valutazione oggettiva della norma, che, una volta venuta a esistenza ed entrata nel mondo concreto del diritto, perde il suo legame con il suo autore (momento soggettivo), come una nuova creatura, che, reciso il cordone ombelicale, perde il suo collegamento con la madre, prescindendo da DNA e rapporti affettivi. Questo mi pare il contenuto oggettivo dell’art. 12 delle Preleggi, che limita alla norma la sua valutazione. Non si deve confondere l’esegesi giuridica con l’ermeneutica dei filosofi. Questa considerazione spiega perché le “relazioni illustrative accompagnatorie” dei testi di legge e i “lavori preparatori e/o parlamentari” non sono compresi nelle fonti del diritto (art.1 del c.c.). Quindi, dopo lo stacco dalla matrice, la norma deve vivere di “vita propria”. Però, essa deve essere applicata e, spesso, previamente interpretata dall’operatore pratico del diritto, cioè da un “giudicatore”, sia esso giudice o commentatore, operazione tutt’altro che facile, se si considerano le difficoltà, i limiti e i rischi di malintesi del linguaggio umano. Per agevolare, ma anche per costituire una base comune valida per tutti gli interpreti, il legislatore ha fornito criteri ermeneutici riportati nell’art. 12 delle Preleggi al codice civile, norma tutt’altro che soddisfacente. Infatti, riporta anche la locuzione “intenzione del legislatore”, che, a mio avviso, è un sinonimo di “ratio della norma” non di un fantomatico legislatore. La norma, oggetto della funzione interpretativa, è l’unico “oggetto” che resta dopo la sua entrata in vigore. Il problema è, allora, come collegare l’art. 1 cod. civ., che non comprende le relazioni e i lavori preparatori tra le fonti del diritto con l’ “intenzione del legislatore” dell’art. 12 delle Preleggi. Filosofi del diritto e commentatori di diverse specializzazioni hanno riempito le biblioteche di trattati sulla materia e non è il caso di citarli, perché l’inventario sarebbe infinito. La contraddizione resta comunque e “sembrerebbe” smentire la considerazione sopra espressa che la norma una volta venuta ad esistenza ha una sua autonoma validità a prescindere dalla sua origine. Non entro nel problema e mi limito a constatare che in materia tributaria si fa frequente uso della delegazione al Governo da parte del Parlamento a sensi degli artt. 76 e 77 della Costituzione. Il Governo assolve il suo compito di legislatore delegato emanando norme nei limiti della delega e corredando il testo di legge con una “Relazione illustrativa”. Da qui due problemi:

a)      qual è la natura di questa “relazione illustrativa”? è una dichiarazione che svolge le funzioni di rivelare l’”intenzione del legislatore” ex art. 12 Preleggi? Pur astraendo dalla non felice formulazione dell’art. 12 delle Preleggi, a me pare di no, perché l’intenzione del legislatore è, semmai, nella delega non nella norma delegata;

b)      se è fondata l’affermazione precedente, quale è la funzione della “Relazione”? A mio avviso è una specie di “resa del conto” del legislatore delegato, con cui rende esplicito al delegante di come ha inteso realizzare la delega ricevuta.

Quindi la “Relazione accompagnatoria” di un decreto legislativo, non solo non rientra nell’art. 1 del cod. civ., ma è estranea anche all’art. 12 delle Preleggi.