La Divina Commedia: Corte di giustizia per un processo.

La Divina Commedia è poema talmente complesso ed elevato da prestarsi a più interpretazioni o, come si dice oggi, a più chiavi di lettura, ma, che io sappia, mai è stato visto come un grande processo giudiziario: contro gli altri (personaggi storici, papi compresi), ma anche contro l’autore stesso. Dante non si autoassolve per principio, probabilmente sapeva che nessuno può essere giudice equo verso se stesso e la sua intelligenza gli avrebbe suggerito che un giudizio verso se stesso non è imparziale, ma, dopo un itinerario di sofferenze, delusioni, amor perduto, ritiene di poter beneficiare della misericordia divina, non certo della giustizia umana, che, come dimostra il caso personale, è inaffidabile. Nel processo sembra mancare l’avvocato difensore, sostituito dalla storia, dai fatti notori e noti al lettore, che non hanno bisogno di essere scritti a verbale, il suo poema è il verbale. Dante è il giudice giudicato che chiude il processo con un PQM di una premiante assoluzione.

Sul punto si pone però anche una questione teologica: Dante vede e descrive il Paradiso, ma nel Paradiso non resta, perché appartiene ancora al mondo dei viventi e mai avrebbe potuto pensare a una sua beatificazione ante mortem, troppo elaborata e consapevole la sua teologia. Lo scopo del poema era ben oltre l’affermazione della propria assoluzione, che era la condizione per la scoperta della Verità per intuizione, anche se poi vennero meno le forze per descriverla. Seppur impossibilitato a rappresentare la folgorazione, che gli consentì per un attimo la stessa visione di cui godono i beati, l’intelletto ha goduto di quel premio, ottenuto per acquisita assoluzione processuale, come si legge negli ultimi quattro incomparabili versi, che chiudono il poema:

 
A l’alta fantasia qui mancò possa:
ma già volgeva il mio disio e ‘l velle,
sì come rota ch’igualmente è mossa,
l’amor che move il sole e l’altre stelle.
 

La Divina Commedia, iniziata nel terrore della “selva oscura”, regno di Satana, si conclude nella visione salvifica dell’Amore di Dio, ma tra i due poli si svolge un processo, da intendere sia in senso umano come istituzione di leggi applicate con giustizia o ingiustizia (nel caso personale di Dante) sia come itinerario dell’intelletto verso un traguardo di salvezza. D’altra parte, a ben osservare, la legge del contrappasso, nota dominante della Commedia, esplicita nelle prime due Cantiche e implicita nella terza, altro non è che l’applicazione di un codice processuale.