Questo articolo non è pro-assicuratori, né contro i consumatori, ma nemmeno un elogio ai media televisivi o ai giornali a larga diffusione, che in questi giorni sui premi delle polizze RCAuto si sono esercitati nel compito, per loro non arduo dato l’allenamento, di dare informazioni parziali, come quando si espongono effetti tacendo le cause per incuria, superficialità o ignoranza.
Aveva un bel dire Longanesi che il giornalista è colui che spiega le cose che non sa. Già! Ma come le dice?
La tecnica dell’informazione è nota:
 una ragazzetta detta cronista di tiggì, accompagnata da un tipo con barbetta e piercing armato di cinepresa, si apposta su un angolo di strada (nella fattispecie meglio Napoli di Trento) e porge una banana (pardon: microfono) a tre (diconsi tre) passanti abbastanza disinformati, ma pronti al bla-bla per vedersi nel tiggì della sera. Vi risparmio le doglianze dei tre moschettieri, perché le conoscete. La notizia e la demoscopia si fabbricano così;  non più profondo l’articolo della carta stampata bianca. Un mestabroda fa una telefonata a un’associazione di consumatori e ti condisce un’articolessa, che gronda lagrime e sangue sul povero automobilista stressato dal dubbio se lasciar morire di fame i figli o rapinare l’ufficio postale per pagare la polizza RCAuto, che è aumentata fino a superare il valore del mezzo assicurato. Stupore! Gratuito, se si considera che assicurato non è il mezzo, ma il danneggiato e il mezzo meno vale più è vecchio e più è vecchio più è un catorcio pericoloso. Il pezzo si fabbrica così!
L’analisi degli effetti si conclude con il giudizio che le compagnie sono un branco di profittatori e le polizze dovrebbero essere rimpiazzate da ticket di stato, gestiti dai pubblici poteri, per far ricadere sulla collettività i redditi delle compagnie. Viva l’Italia! Viva la Repubblica! Come diceva sempre papà Saragat, condivideva nonno Sandro e ora zio Carlo.
Che ci siano alcuni assicuratori disonesti e non trasparenti, pronti ad approfittarsi di ogni circostanza, possiamo avere fondati sospetti, come pure li abbiamo per una consistente percentuale di assicurati, pronti a ogni più fantasiosa simulazione. Ma il problema non lo si risolve cercando alcuni colpevoli, né tacciando un ministero della attività produttive, che non è un fulmine di guerra, di aver varato il decreto 8.2.2003, n. 18, detto malignamente “salva-compagnie”. Ci vuol altro! Invece, si devono analizzare le cause del complesso fenomeno. In verità, alcune ce le hanno fornite in modo sparso i media stessi. Abbiamo saputo che:
 nel 2002 ci sono stati ottomila morti per incidenti stradali e non si sa ancora quante decine di migliaia di danni materiali e fisici; cioè quante migliaia di persone, per lo più giovani, sono destinati alla carrozzella e alle spinte dei loro badanti;
 in un noto comune del napoletano (ma è fenomeno diffuso in tutta la Campania e oltre) i motociclisti menano vanto a non portare il casco sotto gli occhi di vigili troppo urbani;
 dal venerdì alla domenica sera sciami di giovani debosciati passano direttamente dalla discoteca all’obitorio, usando come cassa da morto l’auto di papà;
 vi sono carrozzieri e medici consenzienti a forme più o meno nascoste di frode in assicurazioni (art. 642, cod. pen.);
 l’assicurazione RCAuto è obbligatoria per legge, per cui una compagnia non può rifiutarsi di rilasciare una polizza al primo plurirecidivo in incidenti che la chieda.
In queste condizioni, una compagnia di assicurazione tiene monitorato un rapporto molto semplice, ma significativo: i sinistri al numeratore e i premi al denominatore e considerando che quando l’indice sale oltre certi valori o si rettifica in meno il numeratore (cioè si fanno diminuire i sinistri) o si aumenta il denominatore (cioè: si aumentano le polizze). Poiché gli italiani non vogliono darsi una regolata e continuano a interpretare strade e autostrade come piste da F1, delle due l’una: o si aumentano le polizze o le compagnie cambino mestiere. Gli italiani devono cioè semplicemente rispondere se ritengono socialmente utile la funzione assicurativa e se si debba agevolare il formarsi di un sistema, che agisca con correttezza e trasparenza nell’ambito di norme chiare, sotto il controllo di authority non soffocanti.
Ma in questo arcipelago di cause e di effetti, malamente miscelati o dissociati, c’è un’isola trascurata. Mai ci viene proposto di analizzare il danno che la collettività sopporta per ogni incidente mortale o no. Mai ci viene posto il quesito del costo che la società sostiene per portare un individuo a 20/25 anni, età sino alla quale ha solo assorbito costi sociali e risorse pubbliche e ancora non ha incominciato a produrre e ad ammortizzare almeno parte dell’investimento. Se l’industria privata buttasse a mare ogni anno ottomila robot nuovi o ancora efficienti, sindacati e associazioni di consumatori griderebbero allo scandalo, con giusta ragione. Buttare a mare ottomila cadaveri con una pietra da fondo non fa né caldo né freddo a nessuno e lascia indifferenti sindacalisti, partiti e benpensanti.
Signori antiglobal e pacifisti di varia estrazione, pronti ad agitare panni di pace su piazze e balconi: non è guerra questa? Ma che cos’è guerra? La pace, è o non è fare di tutto per evitare la morte?
Ma, per tirarla in moneta bruta: che facciamo per indennizzare lo stato del danno subito per questa ecatombe annuale di vite umane e di investimenti gettati al vento? Lo addossiamo alle compagnie di assicurazione aumentando il premio? Sarebbe giusto e nessuno dovrebbe avere a ridire. O no?
Il resto è solo demagogia.
Pubblicato in “ItaliaOggi” 20.5.2003, pag. 1-59