Giuseppe Prezzolini, “eretico dello spirito italiano” (così lo definì in un libro-testimonianza Anacleto Verrecchia , che per spirito di libertà non è un biografo, né un recensore, ma un testimone critico), nudo di straccetti accademici in patria, esule volontario negli Stati Uniti e professore alla Columbia University, pubblicò a New York nel 1948 The Legacy of Italy, che è un’interpretazione dello spirito italiano molto più efficace e densa di tanti ponderosi trattati di storia. L’editore Rusconi ne stampò a più riprese la traduzione con titolo L’Italia finisce, che è una provocazione, perché, anche se non lo dichiara, Prezzolini, come un innamorato respinto ma pervicace, intensamente spera che “L’Italia incominci”, nonostante le verità amare esposte con spirito scettico e distaccato. Certo che i flash dell’ambasciatore di italianità Prezzolini devono aver lasciato negli americani un’impressione dello spirito degli italiani nella storia più precisa e veritiera di quello che pensano gli italiani di se stessi, che poco si conoscono. Lo stesso deve essere accaduto in Austria con l’ambasciatore di italianità Anacleto Verrecchia, che per “affinità elettive” e vicende umane ha percorso un cammino parallelo.

Le tessere che compongono il libro sono perle, che insieme, fanno una preziosa collana.

Una è dedicata alla Commedia dell’arte: l’estro improvvisatore degli Italiani e chiude con una constatazione, storicamente ineccepibile: “Le semplici spontanee commedie del Goldoni, le tragedie austere e commoventi dell’Alfieri e il rombo della Rivoluzione Francese arrivarono a tempo opportuno e riuscirono a segnare la fine della Commedia dell’arte”.

Prezzolini, morto centenario nel 1982, non poteva immaginare che la Commedia dell’Arte sarebbe riemersa dalle ceneri in spettacoli televisivi come Zelig e sue imitazioni, che hanno mandato in pensione Shakespeare e Pirandello. Lo spirito di un popolo di guitti come l’italiano è indistruttibile e inossidabile, purché non si pretenda di servirgli menù troppo raffinati. Alla fine e in barba alle diete, preferisce ancora fagioli e bistecche toscane.

Pietro Bonazza