Antonio Gramsci e Piero Sraffa: concordia discors?

 

La casa editrice Castelvecchi ha diffuso, dal novembre scorso, il saggio “Nella bufera del Novecento: Antonio Gramsci e Piero Sraffa tra lotta politica e teoria critica” del prof. Giancarlo de Vivo, accademico dell’Università Federico II di Napoli, che ha già ricevuto favorevoli recensioni da specialisti della materia trattata. Questa è semplicemente la segnalazione di un testo che merita attenzione e analisi da lettori interessati ad approfondire i rapporti tra due pensatori, Antonio Gramsci e Piero Sraffa, che hanno vissuto la temperie del periodo tra la fine della prima e l’inizio della seconda guerra mondiale, rapporti sviluppati con incontri personali e scambi epistolari. Gramsci è il pensatore politico comunista, di cui sono note soprattutto le Lettere dal carcere e Sraffa è l’economista emigrato all’Università di Cambridge, autore del famoso saggio Produzione di merci a mezzo di merci  e curatore dell’opera di Davide Ricardo, in posizione critica con la teoria  neoclassica e marshalliana allora dominante. Il prof. De Vivo analizza il rapporto tra i due pensatori sardi, che si è sviluppato in una serie di scambi epistolari per interposta persona (la cognata Tatiana) essendo Gramsci carcerato a Formia, dopo la condanna del Tribunale di Milano, per motivi politici. Si è ritenuto da alcuni studiosi che Piero Sraffa agisse come referente sovietico con incarico di osservatore da vicino e controllore occulto di Antonio Gramsci. A parte la non credibilità di tale funzione da parte di Sraffa, perché uomo di indiscutibile onestà intellettuale, incapace per natura e per dirittura morale di comportamenti sleali (e così dicasi di Gramsci), il prof. De Vivo, con lavoro di pregevole approfondimento sui documenti, dimostra l’inconsistenza della tesi e conferma la lealtà di Sraffa e l’affidamento di Gramsci al senso di fedeltà dell’amico. Il libro di de Vivo è tutto da leggere e una mia recensione sarebbe inadeguata allo spessore del libro. Invece, si devono mettere in rilievo almeno tre caratteristiche del saggio:

–          De Vivo non si affida a tesi di precedenti studiosi, ma esamina con leale acribìa lettere e documenti prima ignorati;

–          l’autore non cade nella facile trappola di una personale opinione di natura ideologica, ma lascia parlare i personaggi secondo la loro scelta politica; quindi il saggio è un esempio di oggettività, come deve essere regola metodologica – frequentemente inosservata – per chi svolge opera di analisi storica, soprattutto se riguarda ideologie e non semplicemente accadimenti;

–          Sraffa e Gramsci non dichiaravano esplicitamente ideologie convergenti pur partendo da origini comuni, ciò che esalta il senso della reciproca stima e amicizia. Peraltro, due intelligenze così spiccate, seppur in settori diversi, non sono tra loro omologabili per natura, più forti persino di affinità elettive, come si potrebbe interpretare già dalla copertina in cui Sraffa appare in divisa di ufficiale dell’esercito e Gramsci in immagine di ideologo, quasi a rilevarne le differenze, ma non eventuali divergenze, che pur non mancarono ccome si evince dalle pagg. 111-112 del saggio di de Vivo.

Una nota dominante nei rapporti tra i due è lo stato di salute di Gramsci, notoriamente precaria già prima della sua detenzione e difficilmente curabile, dato lo stato della medicina dell’epoca per la spondilite tubercolare (tubercolosi ossea) e questo rende incomprensibile, sul piano politico, la denegazione della messa in libertà e la concessione del permesso di emigrare in Russia. Se il potere politico avesse consentito a tale liberazione, Gramsci sarebbe morto a Mosca più o meno nello stesso tempo anche per le sfavorevoli condizioni climatiche della Russia, o forse anche prima, data l’insofferenza di Stalin, al potere dal 1927, per gli intellettuali, tanto più se pensatori autonomi e Gramsci lo era. Avremmo avuto meno toponomastica dedicata al politico sardo. Ma è l’errore ricorrente in tutti i regimi: creare martiri anche quando non ce n’è bisogno. Machiavelli, di cui Gramsci era profondo conoscitore, non lo avrebbe certo suggerito. Gramsci avrebbe potuto fruire della grazia, ma egli fermamente si oppose a ogni sollecitazione anche da parte dell’amico Sraffa. Nel rifiuto di una personale invocazione, Gramsci, dimostrò tutta la sua dignitosa coerenza di principio e autonomia di pensiero, che lo pose in contrasto persino con il suo partito e particolarmente con Togliatti. Questa è una mia ipotesi astorica e, si sa, la storia non si costituisce con i se. Però, dati i rapporti tra Gramsci e Togliatti, un qualche dubbio che se Gramsci fosse emigrato in Russia, clima avverso a parte, le sue condizioni non sarebbero state migliori rispetto a una clinica italiana. Soprattutto viene il dubbio che Gramsci avrebbe potuto godere di maggior libertà, che era il pane quotidiano che già gli era mancato in Italia.

Il saggio di de Vivo affronta il delicato tema della sincerità di un’amicizia profonda tra due pensatori che hanno segnato un’epoca tormentata e tramontata ai nostri occhi di osservatori posteriori di quasi un secolo e noi che leggiamo quei documenti, che il saggio dello storico napoletano porta alla luce, constatiamo che:

–          l’attuale secolarizzazione ha travolto anche la politica in cui Gramsci e Sraffa hanno creduto. Ai partiti, compreso quello a cui Gramsci aveva dedicato la sua breve vita, è subentrata una casta che anziché sugli ideali regge sulla transumanza permanente, che è eufemismo di tradimento elevato a sistema al fine di mantenere un “posto fisso” personale, non importa il colore della sedia che accoglie una coerenza resa inesistente e un cervello scivolato dalla testa al basso schiena. La lezione di onestà intellettuale di Gramsci è ormai purtroppo dimenticata;

–          anche a Piero Sraffa è accaduto qualcosa di simile. La teoria che espresse con convinzione nel suo testo “Produzione di merci a mezzo di merci”, rimane un esempio di serietà scientifica e non basta certo l’osservazione che nel suo sistema le incognite siano due più delle equazioni di vincolo per relegarlo tra i classici, cioè i libri che riposano in scaffali polverosi in attesa che uno studioso postumo li riapra alla luce, non disincentivato dai sopravvenuti rivoluzionari cambiamenti nelle realtà produttive, che hanno reso superati non pochi concetti che si ritenevano consolidati almeno nella teoria economica.

Giancarlo de Vivo svolge nel saggio qui segnalato la funzione di scopritore di comportamenti esemplari, che hanno ancora insegnamenti da impartire sul piano morale.