Sottoscrizione degli atti societari esteriorizzati

 

Il mondo del diritto vive di sostanza, che, però, dall’invenzione della scrittura, non può più affidarsi all’oralità, ma deve rivestirsi di forme: così nasce l’atto giuridico. In particolare il diritto societario, che in buona parte si regge sulla pubblicità, genera, con dilagante ricorrenza, atti che devono essere portati a conoscenza di quisque de populo. Da qui sorge il problema della sottoscrizione, particolarmente degli atti promanati da organi collegiali, istantanei (per esempio, la presidenza di un’assemblea non attribuita dallo statuto) o permanenti per tempo determinato o indeterminato.

Il motivo è di ordine logico: se esiste un organo collegiale, deve esserci chi lo presiede, se non altro per coordinare l’ordinato svolgimento dei lavori, da cui scaturiscono deliberazioni conclusive formalizzate in verbali. Ma chi presiede non è solo un coordinatore, è anche il soggetto giuridico che ha responsabilità della veridicità dei contenuti del verbale. È principio generale, che nei casi in cui la legge lo prevede (per esempio: art. 2375 cod. civ.), il verbale sia redatto da un segretario sotto la direzione del presidente, che, pertanto, è la figura eminente della traduzione in atto di una volontà collettiva dialetticamente formata.

Si osserva che, a meno di una libera norma statutaria, per le deliberazioni del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale, diversamente da quelle assembleari (art. 2371 cod. civ.), la legge non prescrive la presenza di un segretario, cosicché il presidente di tali organi è anche il responsabile unico della redazione del verbale, che, se mancante, non inficia la validità delle deliberazioni assunte, come prevede risalente giurisprudenza, da ritenersi tuttora valida (da ultimo: Cass. Civ., 5 maggio 1989, n. 2127).

In via di consequenzialità logica, alla domanda di chi sottoscrive l’atto, la risposta non può che essere: il presidente.

La generalità di questo principio è provata anche dalle sentenze di organi giurisdizionali non monocratici, che sono sottoscritte dal solo presidente.

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Consideriamo in particolare l’art. 2429, comma 2, cod. civ., che così richiede: «Il collegio sindacale deve riferire all’assemblea sui risultati dell’esercizio sociale e sull’attività svolta nell’esercizio dei propri doveri, e fare le osservazioni e le proposte in ordine al bilancio e alla sua approvazione…», norma che potrebbe suggerire l’interpretazione che il “riferire” possa essere anche solo orale in sede assembleare, se al comma 3 non fosse previsto che il bilancio: «…deve restare depositato in copia nella sede della società, insieme con le relazioni degli amministratori, dei sindaci e del soggetto incaricato della revisione legale dei conti…». Da qui, en passant, si pone il dubbio: quel “riferire all’assemblea” del comma 2, che significa, se il tutto è già formalizzato in una relazione depositata almeno quindici giorni prima dell’assemblea? Il legislatore ha inteso un banale esercizio di lettura o anche, se del caso, una integrazione di quanto può essere accaduto negli ultimi quindici giorni? O, in caso di nessun accadimento, un giudizio di sintesi o, data la delicatezza della sede, la certezza che anche i soci che non hanno preso visione preventiva del fascicolo di bilancio siano ben consci del loro voto? Da qui, la prassi di dare lettura della relazione da parte del presidente del collegio o in sua assenza da un sindaco, in mancanza di una omissione deliberata all’unanimità dall’assemblea destinataria.

A prescindere da interpretazioni meramente formalistiche, sembra pacifico che sia la relazione depositata in copia prima dell’assemblea sia la sua pubblicazione al Registro delle imprese, possa essere sottoscritta dal solo presidente, se non altro per motivi di carattere pratico ed economicità delle forme.

Di questo avviso è stato il Tribunale di Milano nella sentenza 20 marzo 1989, risalente, ma tuttora attuale.

 

dott. Pietro Bonazza – commercialista

dott. Giulia Bonazza – commercialista