È imperdonabile leggerezza dei critici e degli interpreti trascurare il collegamento di un autore con il suo tempo, anche se fosse un profeta, un Prometeo che vive nel tempo avvenire.

Chi vive nel passato è già morto con il passato stesso, che diventa solo rimembranza.

Chi vive nel futuro vive di potenzialità, come una creatura nel grembo materno.

Chi vive nel presente è un essere che esiste, ma se è sganciato dal passato è uno sradicato, se è calato nel futuro è solo speranza vivente.

Dice bene Agostino Aurelio che è opportuno distinguere il presente del passato, il presente del presente e il presente del futuro, perché è l’unico modo per concepire l’eternità, che ci avvolge e ci attende.

Essere figli del proprio tempo è inevitabile.

Per esempio, Lucrezio è stato criticato nei secoli per la sua avversione alla religione, ma bisogna chiedersi: quale era la religione del suo tempo? Chi erano gli dei? Scrive nel libro I, 101del De rerum natura, ricordando il sacrificio di sangue di Ifigenia in Aulide, uccisa per soddisfare il falso mito che senza quell’omicidio la flotta greca non sarebbe potuta salpare alla guerra di Troia: «A quali infami delitti la religione può giungere!». Uccidere per uccidere! Cristo sarebbe venuto dopo. Non è lecito chiederci che cosa avrebbe scritto Lucrezio, se avesse conosciuto Cristo, ma è certo che gli dei del suo tempo erano uno stuolo di figure mitiche, vuote e capricciose. Un saggio come Lucrezio poteva non rifiutarle?

Ricordiamo la famosa terzina di Dante, Inferno, canto I, 70, che fa dire a Virgilio in una presentazione di se stesso: «Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi/ e vissi a Roma sotto ‘l buon Augusto/ nel tempo degli dei falsi e bugiardi». Dante non poteva essere uno stimatore di Lucrezio, perché era contrario a tutti gli epicurei in termini espliciti, come si legge nella terzina13-15 del Canto X dell’Inferno: «Suo cimitero da questa parte hanno/con Epicuro tutti i suoi seguaci,/che l’anima col corpo morta fanno». Dante, però probabilmente non conosceva il De rerum natura di Lucrezio, ma avrebbe condannato in ogni modo il poeta latino perché negava la possibilità di una vita ultraterrena, ma lo avrebbe capito per la difesa della vita, che è uno dei cardini della religione cristiana. Peraltro, il credo in una vita ultraterrena c’era già in Omero e in Virgilio, cioè nei greci e nei romani, mentre era negata dagli ebrei sadducei. Solo con Cristo e la sua Resurrezione l’esistenza di una vita ultraterrena si affermò come credo religioso e Dante ne è il massimo interprete, al punto che senza vita ultraterrena la Divina commedia non sarebbe stata concepita e concepibile. Lucrezio, per la frugalità del suo modo di vivere, non sarebbe stato per Dante uno di quei compagni di Epicuro dell’endecasillabo citato.

D’altra parte, i grandi geni finiscono sempre per comprendersi.

Dopo la stesura di questo aforisma,  ho conoscenza che Steno Vazzana ha scritto il libro «Dante e la ‘bella scola’», che mi riprometto di leggere. Intanto, mi accontento della bella presentazione di Anna Maria Curci e ne traggo conferma che Dante non è versus Lucrezio.