DIMOSTRAZIONE DI EQUIVALENZA TRA “DCF” e ATTUALIZZAZIONE FLUSSO DI REDDITI FUTURI

Si ipotizzi un’impresa di noleggio da rimessa, costituita da una sola autovettura, acquistata in t0 investendo 100; ammortamento al 25% in 4 anni con quote da 25 ogni anno.

Il reddito netto RN sia 15 e si pongano due soluzioni:

a) i cash flow siano consegnati all’imprenditore, come distribuzione;

b) siano assegnati all’imprenditore i soli RN, mentre l’impresa investa i flussi finanziari annuali pari alle quote di ammortamento allo stesso tasso di attualizzazione.

Il tasso prescelto sia il 10%.

|                                  |                                   |                                   |                                   |
t0                                t1                                  t2                                  t3                                 t4
 
RN                              15                                 15                                  15                                 15
Ammortamento            25                                 25                                  25                                 25
Cash flow                    40                                 40                                  40                                 40

Soluzione a)

DCF = R . [(1+i)n-1)/i.(1+i)n] = R. a _ = [1]

n | i

= 40 . [(1+0,1)4-1) / 0,1.(1+0,1)4] = valor attuale flussi di cassa 126,79

in generale:

n

DCF = Σ R. (1+i)-s [2]

s=1

Soluzione b)

V = R . [(1+i)n-1)/i.(1+i)n] =

= 15 . [(1+0,1)4-1) / 0,1.(1+0,1)4] = valor attuale flussi di reddito 47,55

25.1,13 + 25.1,12 + 25.1,11 + 25= valore alla fine del 4° anno

del montante della rendita pari alla quota annua di ammortamento

reinvestita al tasso del 10% = 116,25

116,25 . 1,1-4 = valor attuale del montante 79,24

_________

totale 126,79

Come si può notare, i due flussi presentano quote periodiche (rate) eguali, cioè si è supposta una rata costante, ma non è certo impedito fare business plan concreti con flussi variabili di anno in anno. Può darsi che, anche variando le rate, queste siano diverse nel DCF rispetto ai redditi annuali, a causa dei tempi diversi in cui maturano gli incassi rispetto alla competenza economica delle rate reddituali, ma le difficoltà che si incontrano nella ipotesi dell’andamento dei flussi di cassa rispetto ai flussi di competenza sono le stesse. Non bisogna dimenticare che il business plan incentrato sui redditi periodici e altro ipotizzato sui flussi di cassa hanno come elemento comune l’affidamento a piani ipotetici. Il realismo del DCF non è diverso da quello dei flussi di reddito e non bastano alcune critiche per dare la preminenza a uno qualsiasi dei due metodi, che nascono da un denominatore comune. Vero è che, alla fine i due metodi danno lo stesso risultato. Infatti, non sembrano del tutto condivisibili le tesi di certi autori che affermano la superiorità del DCF, perché a loro avviso l’attualizzazione dei flussi di reddito non terrebbe conto del fattore temporale. Sembra che questa puntualizzazione si affidi più ad aspetti formali, legati alle formule matematiche che alla realtà. Infatti, non si tratta di attualizzare flussi di un anno, ma di un arco temporale più vicino, in genere, alla decina d’anni, in cui eventuali sfasature temporali si compensano.

Peraltro, considerare la [1] come una formula unica necessaria per determinare l’attualizzazione dei flussi di reddito sarebbe un errore, perché un ragionamento analogo varrebbe anche per la [2]. Queste formule altro non sono che l’astrazione o generalizzazione di flussi a rate costanti.

Basta sostituirle, come avviene in pratica, con espressioni formali del tipo:

VA = b (1+i) -1 + c (1+i) -2 + ….+ s (1+i) –n

e il problema verrebbe immediatamente chiarito. Ma, si deve anche richiamare un chiaro autore [1] che introduce in proposito un’affermazione, a mio avviso valida, ma non per affermare una preminenza di un metodo rispetto all’altro. Si legge che i due metodi coincidono nel momento in cui si analizzi una particolare struttura del reddito prospettico prerogativa, che sarebbe tipica del «reddito prelevabile senza pregiudicare l’equilibrio economico-finanziario della gestione. Si tratta, in altre parole, del reddito che potrebbe essere prelevato dopo che sono stati effettuati gli investimenti necessari a mantenere la capacità operativa dell’azienda e nel rispetto del predeterminato vincolo di struttura finanziaria». Non si può certo contraddire questa affermazione, ma si deve invece riconoscere che nemmeno il DCF considera gli investimenti necessari, essendo un flusso analogo al reddito. Considerarli significherebbe spostarsi verso un concetto di free cash flow, che è altra cosa del DCF.

Quindi, chi invoca quell’autore per affermare una superiorità del metodo finanziario o non l’ha capito oppure lo richiama per determinazioni diverse da quelle riguardanti i metodi in questione.

La realtà è un’altra e cioè, posto che si voglia determinare il valore di un’azienda, o si inseriscono elementi nuovi nelle rate annuali sia dei flussi di cassa e sia dei flussi di reddito, oppure si deve considerare che dopo la loro applicazione devono intervenire calcoli correttivi, che, però, portano a obiettivi diversi. Infatti, un conto è se si vuol determinare un valore attuale orientativo per una cessione e altro è se si vogliono misurare performance e indici aziendali validi per strategie di conservazione o di sviluppo di un’impresa sul mercato.

Pietro Bonazza


[1] Mario Massari, Il valore “di mercato” delle aziende, Milano, 1984, pag. 3.