La definizione di  processo tributario, come tutte le definizioni, è conseguente a un ragionamento deduttivo e non aggiunge alcunché alla sua natura; come a dire che è una mera constatazione. La Corte di Cassazione dimostra una particolare predilezione per le definizioni, con il risultato che invece di chiarezza crea confusione come ci avverte il filosofo T.W. Adorno, che nella sua Terminologia filosofica ci ricorda un antico principio di giurisprudenza: «Omnis definitio pericolosa est in iure civili». Fortunatamente il processo tributario non legge i supremi giudizi e resta quello che è o, meglio, quel che deve essere. Citiamo le ultime tre sentenze in materia:

  • Cassazione, Sezioni Unite, 4 gennaio 1993, n. 8: il processo tributario è giudizio di impugnazione dell’atto;
  • Cassazione, 25 marzo 1998, n. 3134: il processo tributario è giudizio dispositivo;
  • Cassazione 23 settembre 2011, n. 19542: il processo tributario non è annoverabile tra quelli di impugnazione-annullamento, ma tra i processi di impugnazione-merito, che porta alla conseguenza che il processo tributario deve entrare nel merito.

Soffermiamoci su quest’ultimo parto definitorio, premettendo, per doverosa obiettività, che ne condividiamo la conclusione, ma anche temendo un facile scivolamento oltre i limiti e a questo rischio dobbiamo essere preparati, considerando che il giudice di legittimità si orienta a diventare la stampella dell’Agenzia delle entrate. Le osservazioni sono almeno due:

a)      la sentenza n. 19542 con quella definizione di giudizio di impugnazione-merito declassa anche se stessa, visto che ne fa immediata applicazione nella conclusione finale del proprio giudicato, a giudice di merito, a meno di ritenere, ma sarebbe aberrante, che la sezione tributaria della Corte suprema non sia un giudice tributario;

b)      la sentenza dice una ovvietà e cioè che il giudice tributario dei primi due gradi è giudice di merito e come tale deve agire. Ma nessuno ha mai messo in dubbio questa caratteristica, che deriva, come immediata conseguenza, da una classica ripartizione tra iudicium rescindens (Cassazione) e iudicium rescissorium (Commissioni di rinvio). La confusione tra i due caratteri è fonte di equivoci e in primis è una diminutio per la stessa Cassazione.

Esaminiamo la sentenza, che abbiamo sopra ammesso di condividere nella parte conclusiva, ma non nel decisum finale con cui ha cassato la sentenza della Commissione regionale di Napoli, impugnata vittoriosamente dall’Agenzia delle Entrate.

La fattispecie riguardava l’impugnativa di una cartella esattoriale, perché l’importo di IVA iscritto a ruolo non era stato depurato da un acconto. La Cassazione ha constatato che l’iscrizione era avvenuta in applicazione dell’art. 54-bis del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, e, essendo conseguenza a dichiarazione presentata dal contribuente, non necessitava di preventivo atto di accertamento, fatta salva la deduzione meramente algebrica dell’acconto versato. Trattandosi di “rettifica cartolare” non era stato emesso un preventivo avviso di accertamento, poiché: «Dal complesso normativo (come dell’identico, contenuto nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis) discende che l’Ufficio può esercitare il potere previsto senza necessità di preventiva comunicazione, salvo che (comma 3) “dai controlli automatici eseguiti” non emerga “un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione” in tale ipotesi [che evidentemente non era quella della fattispecie] essa impone all’Ufficio di comunicare (“è comunicato”) “l’esito della liquidazione … ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 60, comma 6, al contribuente, nonché per evitare la reiterazione di errori e per consentire la regolarizzazione degli aspetti formali e la segnalazione all’amministrazione di eventuali dati ed elementi non considerati nella liquidazione”.»

Fin qui si può convenire con i supremi giudici, ma desta perplessità il dispositivo di chiusura della sentenza, che, dopo aver cassato quella impugnata, dispone «decidendo la causa nel merito» la correzione dell’iscrizione di cui alla cartella. Ci saremmo aspettati  di non leggere almeno la locuzione «decidendo la causa nel merito» e addirittura il rinvio ad altra sezione della Commissione regionale napoletana per una nuova decisione che si uniformasse al principio della Suprema corte. Da qui, pare lecito il dubbio: ma La Cassazione è ancora un giudice di sola legittimità? O, per dirla in termini più aulici: esiste ancora la distinzione tra judicium rescindens e judicium rescissorium?

Pietro e Giulia Bonazza