L’esercizio mentale più stimolante non è l’enigmistica, ma è immaginare qualsiasi cosa al mondo senza gli italiani. Sarebbe un non-sense; come togliere l’antitesi alla dialettica, l’ombra alla luce, la molecola d’ossigeno all’acqua, Lombard Street alla City di Londra, il tasso Lombard alla Bundesbank, le cambiali alla finanza. Sarebbe come organizzare l’economia mondiale e vanificare d’un colpo il WTO. Ma, soprattutto, sarebbe come ammutolire il mondo. Noi siamo la favella del mondo, che da noi ha imparato le due parole divine: “sì” e “ciao”, mentre le ragazze da Aosta a Gallipoli si smascellano a dire okay. Da secoli vendiamo al mondo l’unico prodotto che non può diventare consumismo: l’estetica , nascosta nelle merci. Un tempo erano panni, armi, carrozze, gioielli e fiorini; oggi sono tessuti e vestiti, fucili e pistole, Ferrari, gioielli. Il mondo è cambiato poco per noi, nonostante quattro rivoluzioni industriali fatte dagli altri e l’evoluzione tecnologica, sempre fatta dagli altri. Però, se il mondo non vuol morire di monotonia con tutti i suoi robot, deve ancora scendere le Alpi per farsi fare almeno la carrozzeria. È un dato di fatto, che non ha bisogno di dati statistici o contabili. È l’unica nostra risorsa e molti economisti teorici e applicati, che hanno succhiato il latte della London School o si sono masterizzati negli States, continuano a farci credere che bisogna lanciarci nell’high-tec. È un errore incorreggibile come far suonare un violino a un sordo.