Si parla di guerra civile quando una parte consistente del popolo si schiera, armi al piede, contro un’altra parte del popolo stesso. L’Italia non ha conosciuto rivoluzioni come Inghilterra e Francia, ma, purtroppo, di guerre civili ne ha vissute due in meno di mezzo secolo: quella del 1943-45 e l’altra degli anni di piombo (leggasi Sessantotto). Ma quando una parte consistente di popolo si rivolta contro il governo, la casta, i poteri occulti, le sette segrete, i potentati sovranazionali, ecc. che termine usiamo? Che importanza hanno le parole? Nessuna! Sono i fatti, sono le azioni politiche e le angherie che contano, perché incidono negativamente sulla nazione, sul tessuto morale, sul denominatore comune che deve avvincere i membri di una collettività, in parole povere: il popolo.

Quando i pubblici poteri perseguono gli evasori, soddisfano il popolo, ma quando per perseguire un evasore creano un clima di terrore, fiscale e burocratico, e fingono il guanto di ferro contro i pochi accomunando anche gli altri, dimostrano di essere conigli marrani, forti con i deboli e deboli con i forti. L’arte della politica non è quella del possibile, ma quella del saper discernere.

Ma i governanti di oggi hanno capacità di discernimento?