Penso che non esista una parola più incerta di “verità”, umanamente parlando e trascurando le elaborazioni della teologia cristiana. Talmente incerta che in nome di essa l’uomo ha compiuto di tutto, nel bene e nel male. Persino la sua origine etimologica è incerta. Per noi mediterranei deriva dal latino “verum”, mentre per le lingue slave “vera” significa fede (da cui la fede nuziale che è una “vera”, voce importata in Italia dai Longobardi). Partire dall’inizio significherebbe incominciare ab ovo e chissà quante cose si scoprirebbero, perché la nascita del linguaggio è l’avvio dell’invenzione più grande di cui è stato capace l’uomo, al punto che si può fondatamente credere che, in realtà, sia di origine divina. Perché, se no, logos non significherebbe anche spirito?! Ebbene, per farla corta (ma poi è come una retta che da un punto iniziale va all’infinito) possiamo partire da Parmenide, al quale i filosofi, che sono venuti dopo, han fatto dire ciò che forse nemmeno aveva mai pensato. Il fenomeno Parmenide è quanto meno curioso, perché da alcuni frammenti di un “poema della natura” i paleontologi della filosofia sono riusciti a costruire un sistema, che ha inondato le biblioteche del mondo, dando da mangiare a tanti rimestatori di quella broda primordiale, che si chiama appunto filosofia. E, tutto, perché si tratta di brandelli di un poema, ché, se fosse stato un abito intero, nessuno si ricorderebbe del “padre terribile” di Platone. Resta così confermata l’opinione che fa più presa un barile di fumo che un chicco di verità. Orbene, Parmenide dice della verità, che a essa: “tien dietro…il sentiero della persuasione”. E quelli che si persuadono più di un barile di fumo, cioè la stragrande maggioranza degli uomini, dove li mettiamo? Nemmeno il Vangelo di Giovanni definisce la verità, perché dire che: “la verità vi renderà liberi” (8,32) propone solo un rapporto causa-effetto, in cui la verità è la causa e la libertà è l’effetto. Certo! Una definizione si dà in tanti modi, però deve rappresentare un concetto autonomo: un quid, che non deve essere un fenomeno di laboratorio del tipo: se tu mescoli una base con un acido ottieni per conseguenza un sale. E se non c’è riuscito o non ha voluto dare una definizione un sant’uomo come Giovanni, per di più filosofo, possiamo immaginarci tutti gli stregoni dei concetti e del linguaggio. Penso che solo una metafora, con il suo rinviare al simbolo, può dire qualcosa sulla verità. Ecco! A me pare che se pensiamo un mezzogiorno d’estate, quando il sole è allo zenit e i corpi non gettano alcuna ombra, possiamo forse immaginare che la verità sia qualcosa di analogo. Un corpo senz’ombra, non perché ci siano le tenebre, ma perché la luce è al suo massimo splendore. La verità non ha ombra, perché è come un corpo che venisse annullato; infatti due cose non gettano ombra: il nulla e un qualcosa di materico colpito in verticale. Come un esperimento di laboratorio assoluto, brucia senza lasciare residui di alcuna sorta. Ma, forse nemmeno questa ipotesi è applicabile, perché la termodinamica ci insegna che non esistono processi che non lasciano dissipazioni, seppur non vi siano mai annullamenti; inoltre perché la ricerca del punto, in cui si verifica l’assenza di ombra non può essere assoluto. L’occhio non lo coglie, ma per far esa tere quel momento bisognerebbe fermare il tempo e questo è impossibile, nonostante la teoria della relatività di Einstein, che riuscirebbe ad annullarlo correndo alla velocità della luce. Ironia: è ancora una questione di luce! Allora, non resta che pensare che la verità non è come un corpo che non getta ombra, ma è la luce che illumina senza produrre ombre. Una specie di “libertà da”… “libertà dall’ombra”. Siamo tornati a Giovanni: “la verità vi renderà liberi”. Ma perché ciò sia possibile, bisogna morire. Così siamo d’accapo.