ASSOCIAZIONE ITALIANA DOTTORI COMMERCIALISTI ED ESPERTI CONTABILI

 

COMMISSIONE NORME  DI COMPORTAMENTO E  DI COMUNE

INTERPRETAZIONE IN MATERIA TRIBUTARIA

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I componenti


Marco Piazza (Presidente), Mario Bono, Giulio Boselli, Paolo Centore, Nino Clerici, Alberto Di Vita, Annalisa Donesana, Gabriele Escalar, Silvio Necchi,  Antonio Ortolani, Marco Peverelli, Stefano Poggi Longostrevi (Vicepresidente), Paolo Troiano, Andrea Vasapolli, Paolo Vayno, Norberto Villa, Francesco Gerla  (Segretario)

 

Gli esperti


Alberto Arrigoni, Mauro Beghin, Giuseppe Bernoni, Pietro Bonazza, Nicola Cavalluzzo,  Flavio Mezzani, Giuseppe Holzmiller, Raffaello Lupi, Giuseppe Marino, Guido Marzorati, Paolo Pensotti Bruni, Ambrogio Picolli, Raffaele Rizzardi, Franco Roscini Vitali, Francesco Rossi Ragazzi, Dario Stevanato, Francesco Tesauro, Giuseppe Verna, Giuseppe Zizzo, Marco Rigamonti (presidente Adc M.ilano).


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NORMA DI COMPORTAMENTO N. 182

TRATTAMENTO DEL COMPENSO RICONOSCIUTO AD UNA SOCIETA’ COMMERCIALE NOMINATA AMMINISTRATORE DI UN’ALTRA SOCIETA’

 

Massima

Il compenso che una società commerciale, a fronte di apposita deliberazione dell’organo competente, riconosce ad un’altra società commerciale nominata amministratore, costituisce, ai fini delle imposte sui redditi e dell’Irap, costo deducibile per la società erogante e ricavo imponibile per la società percipiente nel periodo d’imposta di competenza.

Ai fini IVA l’attività svolta dalla società commerciale nominata amministratore è una prestazione di servizi da comprendere nel campo di applicazione dell’imposta.

 

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Quando una società commerciale è nominata amministratore di un’altra società[1], le regole civilistiche applicabili a tale rapporto sono quelle previste per il caso di amministratore persona fisica (ove compatibili)[2].

Tale scelta può essere motivata da diverse finalità imprenditoriali e, tra le altre, può risultare coerente con le regole di governance dei gruppi societari; infatti, ove esista l’ipotesi della “direzione e coordinamento” di cui agli artt. 2497 ss codice civile, tale forma di governance  potrebbe rendere più agevole il raggiungimento ed il controllo dell’unità dei principi direttivi a cui le entità del gruppo devono conformarsi.

Nell’ambito di tale rapporto può essere previsto un compenso a favore dell’amministratore – società commerciale per l’incarico da essa ricoperto. Il trattamento fiscale di tale compenso è il seguente.

Imposte sui redditi

Il trattamento in capo alla società a cui spetta il  compenso

Il trattamento ai fini delle imposte sui redditi del compenso riconosciuto alla società commerciale nominata amministratore di un’altra società deve desumersi dalla tipologia reddituale in cui è possibile inquadrare lo stesso.

Il compenso trova la sua fonte nel rapporto sinallagmatico che si instaura, in forza della nomina, tra le due società. Esso rappresenta la controprestazione della prestazione di servizi resa nell’esercizio di impresa commerciale dalla società nominata amministratore e pertanto è da qualificarsi come componente del reddito d’impresa in forza delle previsioni, ai fini Irpef dell’art. 6, comma 3 e, ai fini Ires, dell’art. 81 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (Tuir)[3].

Da ciò consegue che il compenso è da qualificare come ricavo che concorre alla formazione del reddito in base al principio di competenza di cui all’art. 109, commi 1 e 2, del Tuir.

Il trattamento in capo alla società che eroga il compenso

La società amministrata dalla società commerciale, a fronte della prestazione di servizi svolta da quest’ultima eroga un compenso deducibile per competenza, secondo la previsione dell’art. 109, comma 1, del Tuir.

Nel caso di specie non può trovare applicazione il disposto dell’art. 95, comma 5, del Tuir, che disciplina, tra le altre, la regola della deducibilità per cassa dei compensi spettanti agli amministratori, in quanto la sua applicabilità deve essere limitata all’ambito oggettivo trattato da tale articolo, ossia alle “Spese per prestazioni di lavoro”.  Nel caso in esame (come sopra espresso) trattasi invece di spese riconducibili al reddito d’impresa e non ad un reddito di lavoro (dipendente, assimilato od autonomo) individuato dagli artt. 49, 50 e 53 del Tuir.

Inoltre la disposizione dell’art. 95, comma 5, del Tuir detta una deroga esplicita al criterio generale previsto nel reddito d’impresa secondo cui i componenti positivi e negativi concorrono a formare il reddito nel periodo di competenza. La stessa è stata introdotta al fine di evitare che i diversi principi (competenza e cassa), che normalmente sottostanno alla determinazione del reddito del soggetto “erogatore” (la società) e del soggetto “percipiente” (l’amministratore persona fisica), generino una divergenza tra periodo di deduzione in capo all’erogante e di tassazione in capo al percipiente[4]. Al contrario, nel caso di specie la società residente che percepisce un compenso di tale natura, determina il proprio reddito imponibile in base al criterio di competenza e pertanto, se si applicasse l’art. 95, comma 5, del Tuir in capo all’erogante, si giungerebbe ad un risultato opposto a quello per cui la norma è stata introdotta.

L’interpretazione sistematica porta a concludere che la previsione legislativa dell’art. 95, comma 5, del Tuir, secondo cui il compenso degli amministratori è deducibile secondo il criterio di cassa, è una disposizione specifica riferibile unicamente al contesto in cui è inserita – “Spese per prestazioni di lavoro”[5] prestazione quest’ultima definibile, sotto l’aspetto tributario, con riferimento alle disposizioni sul reddito di lavoro di cui al Tuir, e per di più introdotta per raggiungere una finalità che verrebbe invece disattesa nel caso in esame.

Ritenute d’acconto

Il compenso corrisposto ad una società residente in Italia o ad una stabile organizzazione in Italia di  un  soggetto  non  residente, non è soggetto alla ritenuta d’acconto di cui all’art. 24, comma 1-ter, e art. 25 del D.P.R. n. 600/73, essendo tale ritenuta applicabile solo ai redditi di cui all’art. 50, comma 1, lett. c-bis, e all’art. 53 del Tuir e non ai redditi d’impresa.

Il compenso corrisposto ad una società non residente senza stabile organizzazione in Italia è da qualificare nella fattispecie di cui all’art. 23, comma 1, lett. e) [6] del Tuir e pertanto, ai sensi dell’art. 25, comma 2, del D.P.R. n. 600/73[7], è soggetto a ritenuta a titolo di imposta del 30%, salvo diversa misura stabilita dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni, ove applicabili[8]. 

Irap

Il compenso riconosciuto alla società nominata amministratore è rilevante nella determinazione della base imponibile Irap per competenza, sia per la società che lo eroga sia per quella che lo percepisce.

L’art. 5, comma 1, del D. Lgs. 446/97 prevede per le società di capitali[9] che la base imponibile sia determinata dalla differenza tra il Valore e i Costi della produzione di cui alle lettere A) e B)  dell’articolo 2425 codice civile, con esclusione delle voci di cui ai numeri 9), 10) lettere c) e d), 12) e 13), così come risultanti dal conto economico dell’esercizio. Il compenso in questione è contabilmente da allocare per l’erogante alla voce B7 e per il percipiente alla voce A1 o A5, tutte rilevanti nella determinazione della base imponibile Irap.

Il D. Lgs. 446/1997 non prevede inoltre una forma di esclusione specifica di tale componente nella determinazione della base imponibile Irap[10].

Iva

La prestazione a cui il compenso è riferito è svolta dalla società nominata amministratore. Ai sensi dell’art. 3 e dell’art. 4, comma 2, lett. a) del D.P.R. 633/72 sono pertanto esistenti i due presupposti (oggettivo e soggettivo) che portano a comprendere tale prestazione nel campo di applicazione dell’Iva. L’Iva applicata è detraibile per la società amministrata, secondo le ordinarie regole previste dal D.P.R. 633/72.



[1]Diversi Registri delle Imprese accettano ed iscrivono gli atti contenenti la nomina ad amministratore di società, richiedendo l’iscrizione anche della persona fisica individuata a ricoprire la carica in nome e per conto della società nominata amministratrice. La fattispecie è già espressamente prevista per taluni casi di enti collettivi quali il Gruppo Europeo di Interesse Economico (art. 5 D.Lgs. n. 240/1991) e la Società Europea (art. 47.1 del Regolamento UE n. 2157/2001). Sull’argomento si è pronunciato anche il Consiglio Notarile di Milano con la Massima n.100 del 19 maggio 2007, che ha ammesso la possibilità di iscrizione “fatta salva la presenza di specifiche disposizioni normative o regolamentari che, nei confronti di talune tipologie di società, renda tale circostanza del tutto o in parte contraria al sistema normativo (si pensi, ad esempio, alle società con azioni quotate in mercati regolamentati, o alle società operanti in settori soggetti a regolamentazione  e vigilanza, con particolari prescrizioni nei confronti degli esponenti degli organi di amministrazione e controllo”.

[2] Ci si riferisce alle circostanze in cui le norme attuali si riferiscono a caratteristiche proprie delle persone fisiche e non delle società commerciali. Ad esempio quando l’art. 2383 codice civile richiede la pubblicità nel Registro delle imprese del cognome e nome, luogo e data di nascita, domicilio e cittadinanza dell’amministratore.

[3] Sul punto si richiama la risoluzione dell’Agenzia Entrate n. 56/E del 4 maggio 2006 in cui si è sostenuto “che non possano sorgere dubbi circa la natura del reddito prodotto da dette società che, sulla base del richiamato art. 81 del Tuir, rientra nella categoria del reddito d’impresa per il solo fatto di essere realizzato da un soggetto costituito in una veste giuridica societaria. Nel caso delle “società di ingegneria” oggetto della presente istanza, in altre parole, non assume alcuna rilevanza, ai fini della qualificazione del reddito dalle stesse prodotto, il presupposto oggettivo, essendo a tal fine determinante l’esistenza del semplice presupposto soggettivo”. Conforme Corte Cass., Sez. I civ.,Sentenza n. 534 del 12 luglio 1995 – 24 gennaio 1996.

[4] Vedasi la circolare dell’Agenzia Entrate n. 57/E del 16 giugno 2001, paragrafo 7.1: “ la ratio dell’art. 62 (n.d.r. ora art. 95) è quella di far coincidere il periodo d’imposta in cui i compensi sono assoggettati a tassazione in capo all’amministratore con quello in cui sono dedotti dai redditi dell’erogante”.

[5] Se il legislatore avesse voluto dare una portata di carattere generale al principio di deducibilità per cassa dei compensi agli amministratori, avrebbe inserito tale previsione derogatoria nell’art. 109 del Tuir.

[6] L’art. 23 del Tuir, alla lett. e) del comma 1, prevede che un soggetto non residente consegua un reddito di impresa solo qualora svolga attività nel territorio dello Stato mediante una stabile organizzazione.

[7] L’art. 25, comma 2, prevede l’assoggettamento a ritenuta del 30% a titolo di imposta dei redditi di lavoro autonomo corrisposti a un soggetto non residente anche per le prestazioni effettuate nell’esercizio di imprese, per le prestazioni svolte nel territorio dello Stato.

[8] Considerando che il reddito in esame trova la sua fonte nel rapporto sinallagmatico che si instaura tra le due società non è possibile, in presenza di percettore non residente, una sua qualificazione nella fattispecie di cui all’art. 23, comma 2, lett. b) del Tuir, ipotesi che comporterebbe l’applicazione dell’art. 24, comma 1-ter del D.P.R. n. 600/1973 e l’assoggettamento a ritenuta nella medesima percentuale del 30% per tutti i redditi di tale natura corrisposti ad un soggetto non residente da un soggetto residente.

[9] Con eccezione di quelle che svolgono attività bancaria (e assimilata) o assicurativa.

[10] La esclusione della deducibilità dei “compensi degli amministratori” è infatti da riferire, ai sensi dell’art. 5 e dell’art. 11, comma 1 lett. b, del D. Lgs. 446/1997, al caso in cui gli stessi siano qualificabili come “costi per prestazioni di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’articolo 49, comma 2, lettera a) (n.d.r. oggi comma 1, lettera c-bis, dell’articolo 47)  e comma 3” del Tuir.