La parola filosofia significherebbe letteralmente “amore per la sapienza”. Se così è, e per Platone così era, si tratta di una definizione o errata o mistificatoria. Secondo il filosofo Severino da Brescia, il vero iniziatore della filosofia sarebbe in realtà Eschilo, “uomo di teatro”, il cantore di Prometeo, colui che ebbe pietà dell’uomo, angosciato dal divenire, portatore di morte e nullificatore di tutte le cose, il cui rinascere nel ciclo dell’eterno ritorno non riguarda il singolo, il soggetto, l’essente nella sua realtà effettuale e fattuale, non l’essere astratto, a cui il signor Bianchi, così come il signor Pericle, restano tutto sommato indifferenti, ma la natura in cui l’uomo, inteso come species, è assorbito. Secondo Severino, Eschilo, celebrando Prometeo, avrebbe proposto con la sapienza, che è un vedere dall’alto, quindi distaccato, una specie di superamento dell’angoscia del divenire, che è essenzialmente un venire incontro della fine, quella personale, non cosmica. Non mi interessano le tesi di Severino, che lasciano le cose al punto di prima, essendo delle mere interpretazioni di natura storicistica. Mi interessa di più constatare che Eschilo avrà sì inaugurato la filosofia, ma il tutto si è risolto e continua a risolversi in un pensiero meramente consolatorio, come ben ha evidenziato un altro Severino, però Boezio, scrivendo proprio il suo De consolatione philosophiae. Severino da Brescia, sempre sul filo della storia delle idee, conclude affermando che per lo stesso motivo il Cristianesimo avrebbe proposto la soluzione della fede in una vita ultraterrena e l’illuminismo moderno una fede nella scienza prima e nella tecnica attuale. Lo schema severiniano è sicuramente geniale, ma più sul piano economico che filosofico, perché consente di scrivere libri su tutte le epoche, compreso uno sulla filosofia futura, che è un’ambizione prometeica. Oggi un filosofo che si rispetti va in giro su una carretta tedesca tirata da non meno di 200 cavalli, tiene villa anche al mare e una cameriera filippina, che non ha sostituito la moglie, a cui ha provveduto, invece, una giovanotta che ti riporta coi piedi per terra. Niente di male! Se lo fa un industrialotto da tre palanche, che si incarta sui congiuntivi, perché non dovrebbe farlo un filosofo? Invece, mi dite che Diogene non faceva così? E chi era costui se non un cane di filosofo? Caro buon vecchio professore di filosofia del liceo, di cui si è persa la memoria, fermo a Socrate, Seneca, Severino (Boezio), che non riuscivi a bocciare quelle bestie di allievi, perché sapevi che il sapere, non la filosofia, serve solo all’onestà, che è virtù civile, prima ancora che religiosa. Caro buon vecchio professore… sei rimasto fermo a “Verbi transitivi e intransitivi” dell’onesto Panzini. È la tua onestà intellettuale che ha consolato, non la tua filosofia e questo tu lo hai sempre saputo senza farne oggetto di lezioni. Questo tacere su ciò che non c’è bisogno di dire, non perché sia indicibile, ma perché è scoperta personale e induttiva… questo silenzio è la vera filosofia.