articolo pubblicato sulla rivista “Il Postale” con titolo “Una società assetata di energia: in fondo è solo conversione di calore“- Editrice ““La Quadra”” Via Sombrico, 6 – 25049 Iseo- tel. 030981054

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sulla rivista “l’autonomia” con titolo “I convertitori calorici. Illusioni e speranze” – Direzione Via Ugo Foscolo, 3 –Brescia – tel. 030300744

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L’uomo primitivo, trascurando le volgarizzazioni dei vari quark televisivi, scese dall’albero con due obiettivi: mangiare carne (cioè proteine) e accedere all’energia (il fuoco). Da allora sono cambiati i mezzi non i fini. La carne non manca, anzi è già condita di virus, ma l’energia è un problema crescente e la sua richiesta si fa pressante al crescere dei consumi mondiali alimentati dalla tecnologia. La filmografia ci ha offerto scene di guerre tribali intorno a un pozzo d’acqua in pieno deserto, ma forse era un’anticipazione non intenzionale di una lotta, sempre nel deserto, intorno a pozzi di petrolio. Già la seconda guerra mondiale porta a questa causa: il Giappone assetato di petrolio conquista il sud est asiatico, perché ricco di giacimenti. Le guerre successive, fino alla recente in Iraq hanno la stessa causa: il petrolio a basso prezzo e tutto per far circolare milioni di autoveicoli e illuminare, riscaldare o raffreddare i paesi più avanzati. Filosofie, ideologie e ubbie degli occidentali sono solo contorni di quel piatto forte che si chiama energia, il cui possesso, governo, commercio e guadagno sta nelle mani di pochi, disposti a fomentare guerre, intrallazzi di servizi segreti governativi e omicidi di singoli, come qualcuno sostiene per la fine di Mattei, forse non l’unico. Sono persino convinto che dietro il cancro del terrorismo islamico ci sia l’obiettivo del petrolio.

Ma la parola energia non rende appieno l’idea. Essa è solo l’effetto. Bisognerebbe usare il più tecnico termine: convertitore calorico, che designa un processo talvolta semplice, altre complesso, per cui, partendo da una fonte, si ottiene una risultante che è una forza. Il processo di conversione pone due problemi tipicamente economici:

a) il rendimento. Cioè, pur escludendo coefficienti pari al 100%, esiste un punto critico sotto il quale la conversione è antieconomica, a meno di abbassare il prezzo della materia prima. Per esempio il rendimento della benzina in un motore a scoppio ha un coefficiente relativamente basso. Da qui il braccio di ferro tra paesi produttori e paesi consumatori. L’abitudine a godere di un prezzo basso ha creato pericolose distorsioni nella scala dei valori, non solo economici, dei consumatori occidentali. Un litro di benzina è ritenuto più importante di un litro di latte o, salvo che per gli alpini fermi a sane abitudini, di un litro di vino. E se il prezzo della benzina cresce? Meglio l’anoressia che la rinuncia a un fine settimana al mare!

b) Le esternalità. Un grande economista, dimenticato dai più dopo morte prematura, Fred Hirsch, ha pubblicato nel 1976 (Bompiani, 1981) un saggio importante, I limiti sociali allo sviluppo, in cui ha dimostrato ed elencato molte diseconomie (esternalità), che gli ambientalisti hanno fatto proprie, però deformandole dietro ideologie irresponsabili e irrazionali. Invece, il problema è e resta principalmente di razionalità economica.

Queste osservazioni sono insufficienti, anche come estrema sintesi, per uno scenario mondiale, che è il principale della nostra epoca, ma bastano per considerare che il problema si è fatto talmente esasperato che: se la scienza non riesce a scoprire un convertitore calorico alternativo ai combustibili fossili e non illusorio (anche i fisici talvolta raccontano barzellette, come alla fine degli anni Ottanta con la fusione fredda) e se i consumatori mondiali (agli occidentali si sommano i cinesi e tutto il sud-est asiatico) non cambiano radicalmente le scale dei loro bisogni, si arriverà presto a un pericoloso punto di rottura. Queste, però, sono speranze per un futuro non prossimo. E per l’oggi? L’acqua che cade (centrali idroelettriche) o quella che sale (i soffioni boraciferi di Larderello e i geyser dell’Islanda) bastano solo per scaldare le pentole e i rasoi elettrici. L’atomo è scelta in mano a forze politiche irresponsabili e sterili, che risolverebbero il problema in una natura senza esseri umani per mancanza di spermatozoi prima ancora che di convertitori calorici. Che resta? Restano l’energia prodotta dall’atomo, il petrolio e il metano.

L’atomo lo abbiamo rifiutato, dopo aver lasciato incompiuta una centrale nel Mezzogiorno, sperperando miliardi a palate, salvo comprare ogni giorno energia prodotta con il nucleare francese e svizzero ben più vicino di Cernobyl, che da distanze molto maggiori ci ha inviato una pioggia di cesio, che dopo anni e chissà per quanto ci condisce l’insalata delle nostre mense; tanto valeva produrlo made in Italy.

Il petrolio deve essere raffinato; non certo a Marghera. Sul tema, Colin Campbell, un geologo di fama internazionale esperto in ricerche di pozzi ed estrazioni petrolifere ha rilasciato un’intervista (si veda “Il Sole-24 ORE”, 2.9.2005, pag. 4) in cui ha spiegato che il petrolio non manca, ma le compagnie da anni non fanno più investimenti in raffinerie, perché ritengono che il picco economico sia stato raggiunto e iniziato il declino, sicché alla inadeguatezza dell’offerta segue quella della insufficienza di processi di raffinazione. La constatazione di Campbell trova conferma dal fenomeno di ottobre 2005 con l’OPEC che offre petrolio e non trova adeguata risposta dai raffinatori, che hanno gli impianti al limite dello sfruttamento, ma senza la minima intenzione di potenziarli.

Il metano viene dalla Russia e dall’Algeria, ma i gasdotti sono insufficienti e sono diventati veri colli di bottiglia (bottleneck, dicono gli inglesi) e l’ENI lancia allarmi, soprattutto temendo il dilagare del duopolio. Se, da un certo lato può far sorridere che sia proprio l’ENI, monopolista interno con ENEL a lagnarsi di blocchi monopolistici, preoccupa la realtà di un condizionamento a tenaglia per il nostro Paese, carotato come un emmenthal, ma senza esiti. L’ENI auspica incrementi nelle infrastrutture per GNL (Gas naturale liquefatto), attualmente in mani francesi e spagnole.

Intanto, tra una diagnosi e un progetto politico conditi di demagogia a basso rendimento e alte esternalità, aumentiamo la nostra dipendenza dall’estero e diventiamo terra di conquista, perché il mercato italiano è come il mercato degli schiavi: abituati alle bollette più salate del mondo, basta offrirci risparmi insignificanti per acquisire la nostra gratitudine, anche se a conti fatti pagassimo l’energia ancora il doppio dei cugini d’Oltralpe. Per noi, importante è discutere, creare commissioni di studio, pagare costose parcelle, imbordire di chiacchiere “il colto pubblico e l’inclita guarnigione”, disegnare bandiere italian style con cagnoni a sei zampe e la pancia vuota. Felici e contenti. O no?

Sempre nel presente consoliamoci con lo sfruttamento delle biomasse (si legga l’interessante articolo Why biomass energy is booming, in “Financial times” del 26 agosto 2005), le batterie solari con cellule fotovoltaiche (il sogno di una famiglia o di un condominio di prodursi energia con il “fai da te”), gli impianti eolici (servono per i ventagli delle vecchie signore con mano stanca) e, forse, con convertitori provenienti dall’agricoltura. L’innovazione delle automobili con motore misto benzina-batterie elettriche incomincia a impegnare in progetti concreti le grandi case automobilistiche. La sperimentazione di un motore nautico a olio di girasole, sembra rilanciare mutatis mutandi la speranza del “contadino” Gardini, che aveva contato sull’accettazione della benzina verde (etanolo) a Bruxelles. Certo, immaginare la pianura costellata di campi di girasoli come quadri di Van Gogh o di altre colture destinate a conversioni in energia, potrebbe riempire di speranza l’immaginazione dei contadini e degli automobilisti. Qui si deve richiamare il punto a) sul rendimento dei convertitori calorici, ricordando che il continuo aumento del prezzo del petrolio può rendere convenienti le fonti prima non considerate.

La grande speranza per un futuro non condizionato dal pericolo dell’atomo, dall’esaurimento delle scorte di combustibili fossili altamente inquinanti a basso rendimento e a costose esternalità, resta l’impiego dell’idrogeno, che ha costo bassissimo, ma richiede energia elettrica per scinderlo dall’ossigeno, il che porta alla metafora del cane che si morde la coda. A meno che l’impiego del biossido di titanio o l’uso di luce solare, non interrompano il circolo vizioso. Speranze vengono dall’Australia e la notizia è stata data da due ricercatori fisico-tecnologi nell’agosto 2004. Se si passa dalla scienza alla tecnologia le speranze aumentano, perché si concretizzano.

In questo contesto, che, se trascurato, può portare a pericolose scelte, come si colloca la piccola società multiutility? Che investimenti deve fare per sopravvivere in una prospettiva di margini calanti? Si tenga anche presente che grosse società monopoliste nella produzione di gas russo, già progettano di entrare direttamente sul mercato italiano. Anche gli scenari europei stanno cambiando e il progetto di abbinamento tra Eni e Gazprom, in discussione nel novembre 2005, si somma o contraddice l’enunciazione della strategia del colosso russo di vendere direttamente il gas in Italia in abbinamento con il Gruppo Mentasti. Le multiutility domestiche sono destinate a ridursi ad attività di piccoli venditori al minuto in concorrenza perdente con ipermercati? O a dazieri per il transito su reti di distribuzione locale, per chi le possiede?

È una sfida, che non può nemmeno essere rifiutata e porterà a cambiamenti radicali nei ruoli. Ognuno dovrà recitare con chiarezza la propria parte, senza improvvisazioni come nei canovacci della “Commedia dell’arte”. Servono già sin d’ora uomini capaci dotati di senso della realtà, ma anche di fantasia. Il rischio che contatori e rubinetti possano diventare ricordi non va trascurato, soprattutto se nuovi convertitori calorici consentiranno l’autogestione del consumatore. Oggi, osservare strani autotetracicli mossi da batterie solari più ingombranti di campi di bocce, fa sorridere in un misto di incredulità e speranza. Ma se la tecnologia troverà una soluzione, a che serviranno stazioni di carburanti, linee elettriche a bassa tensione, reti del gas, centraline idroelettriche prostatiche?

I più pronti nella risposta diranno: ci convertiremo. Ma come? Gli edonisti irresponsabili lasceranno la risposta ai posteri: la non-soluzione, la peggiore.

 

Pietro Bonazza