Che cosa è autorizzato a pensare il cittadino quando constata che certi dati, dichiarazioni, emissioni di documenti, certificazioni, che gli hanno angustiano la vita per anni vengono dichiarati non più necessari? Che è stato preso per i fondelli per tutto il tempo! I casi non si contano più. È come se gli dicessero: ci siamo permessi di sottoporti a un test di obbedienza per anni e buon per te se ora chiudiamo la prova, non tanto perché tu l’abbia superata, ma perché noi siamo buoni, equi, democratici. Se avessimo voluto, avremmo potuto accopparti, ma noi siamo generosi e ti risparmiamo. Clima fantozziano che si conclude con un “come è buono lei… signore”. È la democrazia dello “stato tutto”, contro la democrazia dello “stato minimo”, l’unica che riesce a non scivolare nella demagogia. Ma il massimo lo raggiungono quando ti aboliscono una norma, un incombente, un obbligo, ma si dimenticano di fare altrettanto con altra norma collegata, per cui tutto resta come prima. È la regola. Pensiamo a tutte le riforme Bassanini. Pensiamo all’ultima trovata di correggere l’art. 22 della legge IVA. Basta fatture sulle operazioni esenti. Va bene! Ma dopo? Dopo continuerai a registrare, annotare, computare, liquidare, dichiarare e, se sbagli, a pagare sanzioni. Allora a che serve riformare? Infatti, non serve a niente; finché non riformeremo lo stato, saremo sempre daccapo. Ma loro, i puffi che vivono nelle stanze dei bottoni, lo sanno: se fai un’unica riforma puoi aspettarti le barricate; invece, se ne fai una al giorno, il cittadino rimarrà disorientato e non saprà più da dove incominciare. Intanto risolviamo il problema quotidiano, come il boy scout, che deve fare la sua buona azione giornaliera. Fatturare o non fatturare? To be or not to be? Amleto non perderti in monologhi: lo zio ti sta fottendo la madre.