ASSOCIAZIONE ITALIANA DOTTORI COMMERCIALISTI

COMMISSIONE NORME DI COMPORTAMENTO

E DI COMUNE INTERPRETAZIONE IN MATERIA TRIBUTARIA

I componenti

Nicola Cavalluzzo (Presidente), Mario Bono, Giulio Boselli, Paolo Centore, Nino Clerici, 1 Annalisa Donesana, Giuseppe Holzmiller, Silvio Necchi, Antonio Ortolani, Paolo Pensotti Bruni, Marco Peverelli, Marco Piazza, Stefano Poggi Longostrevi (Vicepresidente), Daniela Prandina, Paolo Troiano, Paolo Vayno, Francesco Gerla (Segretario)

Gli esperti

 

Alberto Arrigoni, Giuseppe Bernoni, Pietro Bonazza, Primo, Ceppellini , Flavio Mezzani, Tommaso Di Tanno, Roberto Lugano, Raffaello Lupi, Giuseppe Marino, Guido Marzorati, Ambrogio Picolli, Giuseppe Ripa, Raffaele Rizzardi, Franco Roscini Vitali, Francesco Rossi Ragazzi, Enzo Russo, Francesco Tesauro, Giuseppe Verna, Giuseppe Zizzo, Andrea Zonca (presidente Adc M.ilano).

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NORMA DI COMPORTAMENTO 168

RIMANENZE VALUTATE A COSTI SPECIFICI: CONFRONTO CON IL VALORE NORMALE

MASSIMA

L’art. 92 del D.P.R. 917/86 (Testo Unico delle Imposte sui redditi) nulla dispone in tema di valutazione delle rimanenze di magazzino trattate a costi specifici. Di conseguenza, anche alle rimanenze valutate con il criterio del costo specifico si rende applicabile, ai sensi dell’art. 83 comma 1, del D.P.R. n. 917/86, il principio civilistico dell’art. 2426, n. 9 cod. civ., che prevede il confronto con il valore normale, come definito dall’art. 9 del Testo Unico.

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Nell’ambito della determinazione del reddito d’impresa, l’art. 92, comma 1, secondo periodo, del Testo Unico delle Imposte sui redditi, D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, prevede che “(…) le rimanenze finali, la cui valutazione non sia effettuata a costi specifici o a norma dell’art. 93, sono assunte per un valore non inferiore a quello che risulta raggruppando i beni in categorie omogenee per natura e per valore e attribuendo a ciascun gruppo un valore non inferiore a quello determinato applicando i metodi convenzionali indicati dai successivi commi 2, 3 e 4 dell’art. 92, cioè FIFO, Costo Medio e LIFO a scatti annuale e relative varianti.

Ne consegue che, per i beni valutati a costo specifico, la norma tributaria non richiede integrazioni, essendo sufficiente, ai fini del raffronto del costo (specifico) di acquisto o di produzione con il valore normale e della conseguente adozione del minore dei due valori, il principio civilistico racchiuso nell’art. 2426, n. 9 cod. civ., applicabile nella determinazione del reddito complessivo in virtù dell’art. 83, comma 1, del D.P.R. n. 917/86, secondo cui il reddito d’impresa è quello risultante dal conto economico civilistico, rettificato per tenere conto delle eventuali diverse disposizioni del Testo Unico.[1]

La norma civilistica (art. 2426 n. 9 cod. civ.) prevede che le rimanenze siano valutate al minor importo confrontando il costo di acquisto o di produzione con il valore di mercato. Il successivo n. 10 del medesimo art. 2426 cod. civ., trattando dei beni fungibili, introduce la facoltà di valutazione utilizzando uno dei metodi cosiddetti convenzionali di attribuzione del costo, rappresentati dai criteri LIFO, FIFO e Costo Medio Ponderato, ponendo in ogni caso l’obbligo di raffronto del risultato così ottenuto con il valore dei costi correnti alla chiusura dell’esercizio mediante indicazione, in nota integrativa, della differenza qualora la stessa risultasse significativa.

Specificamente per la valutazione eseguita con i metodi convenzionali, l’art. 92, comma 5, primo periodo, del D.P.R. n. 917/86 prevede, ai fini della valorizzazione delle rimanenze alla fine dell’esercizio, il confronto del risultato così ottenuto con il valore normale attribuibile ai beni stessi nell’ultimo mese dell’esercizio, disponendo che il valore minimo così determinato sia applicato all’intera quantità di beni in rimanenza.

Il mancato richiamo, nell’ambito dell’art. 92, comma 5, primo periodo, del D.P.R. n. 917/86, ai beni valutati a costo specifico secondo il disposto del primo comma del medesimo articolo, non preclude che, ai fini della valutazione al termine dell’esercizio, il loro valore debba essere comunque confrontato con il valore normale di ciascuno di essi, per tale intendendo il valore ad essi oggettivamente attribuibile, secondo la previsione dell’art. 9 del Testo Unico, applicando, in sede di determinazione del reddito, ai sensi dell’art. 83 del D.P.R. n. 917/86, il minore fra i due importi, secondo il principio stabilito dall’art. 2426, n. 9, cod. civ.

A tale conclusione si giunge considerando che l’art. 92, comma 5, primo periodo, del Testo Unico disciplina solo le ipotesi di valutazione che sono poste dal legislatore tributario in deroga al principio ordinario di valutazione indicato al primo comma, prima parte del secondo periodo dello stesso art. 92, coincidente con la valutazione a costo specifico, cioè, i metodi cd. convenzionali retro evidenziati.

Ulteriore conforto a tale conclusione discende dalla considerazione che l’art. 92, nel disciplinare la valutazione coi metodi convenzionali, dispone il confronto per “masse” di beni, fra di loro relazionate, ai fini valutativi, come “unità”, con un meccanismo, quindi, simile a quello applicabile per i beni “singoli”. Sicché, appare coerente l’applicazione della regola del confronto con il valore normale anche all’ipotesi dei beni valutati a costo specifico.

Giugno 2007


[1] Sul tema si cfr. il Principio contabile n. 13 (Rimanenze di magazzino) dei dottori commercialisti e dei ragionieri, come modificato dall’OIC in relazione alla riforma del diritto societario, che al punto D.VII affronta e risolve il tema della valutazione eseguita con i metodi convenzionali.