La disgrazia dell’essere umano, a prescindere da quel che dicono Darwin e i suoi epigoni, è di aver voluto “conoscere” e, per farlo, ha infranto un divieto, che lo scrittore biblico ha mitizzato nella consumazione di una mela. Conoscere vuol dire perdere l’innocenza e cadere nelle spire soffocanti del sapere. Questi poco tranquillizzanti pensieri mi tormentano ogni volta che incappo nella paroletta “elusione”, che il legislatore tributario e l’Amministrazione finanziaria, sbattono ogni giorno, come cotiche indigeste nel minestrone della vita quotidiana. Ciononostante, a me pare bella l’elusione e non riesco a colpevolizzarla, come non riesco a condannare Adamo per aver ceduto al fascino della conoscenza; ma, come questa, l’elusione è indefinibile: troppo intelligente per farsi racchiudere nelle strettoie di un concetto; anzi, coerente con se stessa: elude la definizione. Così sfugge di mano anche allo stesso Fisco, che, proprio nel tentativo di strumentalizzarla, se la vede sfuggire di mano. Ci provò con l’art. 10 della legge 408 del 28.12.1990, ma l’esito non fu soddisfacente per l’Amministrazione, nonostante con la collaborazione della giurisprudenza fosse riuscita a svuotare di ogni significato un avverbio pregnante e chiaro come “fraudolentemente”. Gli è che nell’art. 10, pur rimaneggiato pro Fisco, era rimasto il concetto che l’elusione implica un uso tale dell’autonomia negoziale, che porta gli operatori a utilizzare tra più categorie giuridiche con finalità equivalenti quella che è meno favorevole al Fisco. Che il Fisco sia un nemico nell’immaginario collettivo degli italiani, soprattutto di quelli che non evadono, è inutile nasconderlo ed è inutile negare che, di conseguenza, sia inaccettabile il principio fondamentale dell’antielusione, che vorrebbe costringere un soggetto a rinunciare ad assumere una categoria giuridica legittima e riconosciuta dall’ordinamento a lui favorevole per obbligarlo a sceglierne altra più gradita al “nemico”. L’italiano, che porta nel suo DNA più di altri popoli la debolezza di Adamo, si chiede perché debba essere obbligatorio essere stupido o, di contro, perché sia vietato essere intelligente. Il punto a cui era arrivata l’evoluzione legislativa e giurisprudenziale ante 37 bis può essere riassunto nella sentenza della Commissione Tributaria di I Grado di Milano, 4 maggio 1996, n. 239. Sta di fatto che il Fisco (è inutile fare distinzione tra questi e il legislatore) ha ritenuto di cambiare i riferimenti logici della norma antielusiva e l’ha riscritta appunto nell’art. 37 bis D.P.R. 600/1973, la cui lettura comparata con la precedente aiuta la comprensione dell’ideologia (pardon: la ratio), che sta dietro la norma. Ma anche la novella non risulta soddisfacente. Basta leggere la Ris. min. 15 luglio 1999, n. 117/E, in cui il Ministero, tentando di chiarire la novella, è riuscito a superarsi, definendo l’elusione: « …l’utilizzo di un meccanismo in sé lecito ma sostanzialmente disapprovato dall’ordinamento tributario, concretizzatosi nell’uso di espedienti che finiscono per stravolgere i principi del sistema. Tale profilo è quello che distingue l’elusione dal ‘lecito risparmio d’imposta’, intendendosi per quest’ultimo l’utilizzo della procedura fiscalmente più conveniente tra quelle che il sistema mette consapevolmente a disposizione su un piano di pari dignità. » Eh, no Ministro! Non mi prenda per i fondelli, perché ora non capisco più nulla. D’altra parte, come si fa a capirci qualcosa quando un “sistema” diventa “consapevole”? Ma lo sa, Ministro, che in Italia l’unico sistema è quello della schedina del Totocalcio? Tanto varrebbe dire: è elusione quel che io stabilisco che lo sia, quia sum leo, quindi, paga e taci! L’uomo, davanti a tale definizione, si sente smarrito, un verme incapace di intendere e volere. Così si dimostra che la condanna di Adamo è stata proprio nel risultato della sua aspirazione: la conoscenza stessa. Ogni tentativo di conoscere produce solo follia. Se poi l’uomo tenta di conoscere il pensiero del Ministero delle finanze, la sua condanna è totale e inappellabile. Se Adamo avesse potuto prevedere, tra la sua progenie, un ministro delle finanze italiano si sarebbe fermato ai lombrichi in umido e avrebbe rifiutato un qualsiasi dessert a base di frutta. Se mi garantissero che tutti i ministri delle finanze verrebbero cancellati, sarei disposto al sacrificio di rinunciare alla conoscenza.