Georg Christoph Lichthenberg riteneva le prefazioni scacciamosche e parafulmini.  Anacleto Verrecchia, filosofo, germanista, ambasciatore di cultura italiana all’estero e soprattutto nella smemorata Italia, rammenta il giudizio del pensatore tedesco nel saggio introduttivo allo “Scandaglio dell’anima” (BUR, 2002), che ne raccoglie lettere e aforismi, e scrive: «Ma non se ne può fare a meno, perché, anche se i suoi scritti sono stati ben vaccinati dal tempo, Lichthenberg  è ancora poco conosciuto, soprattutto per quel che riguarda il suo pensiero filosofico».
La motivazione può essere estesa alla disinteressata “Prefazione” al “Breviario spirituale” di Piero Martinetti, che la casa editrice UTET (€ 15) ha pubblicato  nel gennaio scorso, per impulso e cura di Verrecchia. Già nel “Diario del Gran Paradiso” (Editrice Fogola, 1997), Verrecchia parla di Martinetti e lamenta che una delle teste più filosofiche del XX secolo sia poco conosciuto, perché trascurato dai suonatori di grancassa. Forse, la causa di tanta smemoraggine dei filosofi alla moda è nella loro propensione a fare corporazione dentro e fuori dell’accademia e Martinetti, noto per essere stato uno dei dieci (ma bisogna togliere i pensionandi) accademici su millecinquecento, che rifiutò il giuramento al regime fascista nel 1931, perdendo la cattedra di filosofia teoretica all’Università di Milano, non avrebbe mai accettato di essere un incorporato. Esistono “affinità elettive” e un filo conduttore che alimenta le filosofie di Giordano Bruno, Schopenhauer, Martinetti e Verrecchia. Denominatori comuni: l’amore per la natura e gli animali, il distacco dalle pazzie e dalle cattiverie degli uomini, il disprezzo per le accademie e i circoli, la pietà verso gli uomini che cadono, ma con dignità, un senso di religiosità non superficiale anche se aconfessionale ma non necessariamente panteistica. In Martinetti, la sublimazione della sua filosofia attinge a “una specie di misticismo della ragione”, secondo Abbagnano. Il “Breviario” è la sintesi del pensiero martinettiano. Icastico il giudizio di Vittorio Mathieu: «Martinetti segue l’uomo nel suo elevarsi dal cieco impulso al dominio razionale di sé in cui consiste la vera libertà… La sfiducia nel valore della vita non può essere superata che con la contemplazione dell’Eterno e la convinzione che l’uomo è destinato a trovare il suo riposo in qualcosa che è al di sopra dell’umanità stessa». Infatti, il Breviario è un percorso dall’istintualità alla ragione pur con i lacci di cui l’uomo non riesce mai a liberarsi completamente, come è chiaro nell’affermazione «…il bene e la ragione sono come un faro di luce che ciascuno guarda soltanto da lontano attraverso i preconcetti della sua condizione e del suo tempo». Ma guardare da lontano non impedisce un faticoso cammino di avvicinamento, perché «…l’uomo è tanto più libero quanto più è ragionevole».
La filosofia non può essere fine a sé stessa e con il suo interrogare e interrogarsi finisce sempre per condurre l’uomo al suo esito finale. Purtroppo i filosofi veri sono pochi e non accettano di essere sul libro paga di nessuno, tanto meno su quello dello Stato o dei politici o dei partiti, perché sanno che la filosofia è libertà incondizionata. Non conosce piaggerie, né esaltazioni né tributi; è, innanzitutto critica di se stessa, perché è autocoscienza, non idealistica, ma interiore dell’uomo che la pratica e accetta solo di vivere per sé stessa in silenzio e solitudine. Viene in mente Diogene di Sinope, che invita Alessandro Magno a scostarsi per non impedirgli di godere dei raggi del sole.
Martinetti è vissuto con questa libertà e il suo “Breviario” ne è una testimonianza documentale ed è anche un chiaro manuale per una morale della vita pratica.
Oggi si parla tanto di amore per la natura da ecologisti, ambientalisti, animalisti, no-global, ma la politicizzazione e strumentalizzazione delle loro ideologie, ammesso che esistano almeno quelle, li renderebbe inaccettabili a Martinetti. La natura esige colloquio individuale, perché solo così può rivelarci i suoi segreti di poesia e religiosità. Marce, sfilate, cortei e barricate sono più deleterie delle distratte incurie dei singoli. Martinetti avrebbe ritenuto che là dove ci sono partiti, caste o corporazioni o benpensanti che, per dirla con Longanesi, “tengono famiglia”, non può esserci il filosofo libero.
La verità è sempre nascosta dietro il velo di Maya, ma spesso furbi smemorati coprono ciò che è già stato svelato, perché la verità è scomoda ed è meglio lasciarla dietro il sipario. Martinetti ha lavorato tutta la vita per farci conoscere la sua ed è un dono per aiutarci a scoprire quella che ogni uomo ha dentro di sé: un impegno a una rivelazione personale e soggettiva.
L’impegno morale e professionale di Verrecchia è proprio questo itinerario verso alcuni mistici della filosofia, disegnato con tutta la passione che lo contraddistingue e lo rende sintonico con gli autori, raffigurati e interpretati in modo chiaro, flessibile, pregnante e sulfureo, in un’epoca in cui la lingua italiana, oltre che inflazionata di anglicismi inutili, è trasandata per fretta e ignoranza. Anche Martinetti possiede il dono della chiarezza, che è strumento per attingere alla verità.
Un libro da leggere il “Breviario”, ma soprattutto da meditare, per capire l’uomo e la sua filosofia.

Pietro Bonazza