Troppi filosofi perdono tempo a rimestare la broda di “Aristotele & C.”, perché non hanno niente di nuovo da proporre. Tra poco istituiranno cattedre di “filosofia aristotelica” – in pratica già esistono – così gli epigoni continueranno a vivere nel passato… Viene in mente il pamphletLa filosofia delle università” di Arthur Schopenhauer.

Sarebbe come continuare a credere e pensare alla teoria geocentrica mezzo millennio dopo l’eliocentrica di Copernico, provata e riprovata e ormai da secoli oggettivamente inattaccabile.

L’ipse dixit è riferimento pericoloso, perché diventa asserzione dogmatica.

Io parlerei di teismo aristotelico, anche se Aristotele, per primo, avrebbe affermato di “non sentirsi aristotelico”.

Mi viene in mente “Una lezione di ortografia” nel “Borghese gentiluomo di Molière, che irride, a modo suo, il filosofo di mestiere.

Quando l’attività della speculazione filosofica si riduce a rilettura, ancorché critica, della filosofia del passato, vuol dire che la filosofia si è presa una vacanza, perché i filosofi devono essere contemporanei e allo stesso tempo universali. È come se un pioniere, anziché guardare a nuove frontiere, camminasse a ritroso. È un’opera di mera erudizione e, quindi, non è vero sapere. Vengono in mente due giudizi di Benedetto Croce:

– il primo, in Etica e politica, pag. 156:

«Aborro il cattivo filosofo, presuntuoso o dilettante: presuntuoso nel trattare in nodo facile le cose difficili, dilettante nelle cose sacre. Ma amo assai il non-filosofo, l’incommosso, l’indifferente alle dispute e distinzioni e dialettiche filosofiche, che possiede la verità in pochi e semplici principi, in limpide sentenze, guide sicure al suo giudicare e al suo operare: l’uomo del buon senso e della saggezza»;

– il secondo, in “Logica come scienza del concetto puro, pag. 229:

«Finalmente, lo specialista è di solito insegnante, e uso perciò a identificare la scienza eterna e ideale con la sua cattedra reale e contingente, e l’organismo del sapere con quello delle “facoltà” universitarie [] Il professore finisce col trattare la Scienza come il suo bidello, o almeno come la sua rispettabile consorte, con la quale prende bonariamente accordi sulle pietanze che dovranno comporre il desinare del giorno, e sulle altre parti del governo della famiglia».

Trovo pertinenti, in relazione a questa nota, le pagg. 93-95 del libro-intervista di Pierre Hadot, ”La filosofia come modo di vivere”.

Se è ingiusto disprezzare il filosofo, lo è altrettanto se questi tratta con sufficienza chi svolge attività pratica. Alla fine tutto si riduce ad attività pratica per guadagnare la pagnotta quotidiana, come è giusto che sia secondo il motto primum vivere deinde philosophari. Non è nemmeno vero che solo i filosofi sappiano pensare. Tutti pensano e tutti agiscono. Al massimo il filosofo è uno che tenta di mettere in ordine e collegare i pensieri. L’uomo pratico non si cura di ordini e sistemi: pensa e agisce, o, talvolta, agisce e pensa.

Mi pare che i pensieri del filosofo nascano da sviluppi cerebrali che, almeno in parte, chiamiamo intuizioni poi barattate per elaborazioni razionali sequenziali, mentre le azioni degli uomini pratici sono spesso stimolate da pulsioni e passioni, che precedono e causano il pensiero, e, se con questo dovessero fare i conti, si scioglierebbero sul nascere. Gli eroi non pensano: agiscono  e muoiono. I filosofi pensano e muoiono lo stesso, dopo aver poco agito.

Il tutto con buona pace di Platone, teorizzatore di un governo affidato ai filosofi.

D’altra parte non si può dimenticare come Bettino Craxi, uomo di azione e decisionista, trattò Norberto Bobbio.