La teoria di creazione del valore: una nota critica

 Un esempio di riciclaggio di concetti consolidati e condivisi ce lo ha dato una blasonata università milanese in anni recenti con la “teoria della creazione di valore” importata dagli Stati Uniti, ma non meritevole dell’attenzione che si è voluto darle. In termini più drastici: non serve a nulla, perché abbiamo già tutto da lungo tempo!

Delle due l’una:

  • si tratta di ripresentazione dei soliti metodi di valutazione già noti da quasi un secolo, che si traducono direttamente o indirettamente nella domanda: quanto potrà rendere in futuro l’investimento nell’azienda? Che attualizzato secondo tassi più o meno realistici, ci fornisce una misura del prezzo che può essere pagato oggi per gestire l’universitas facti. È inutile nascondersi dietro belle parole: si tratta di una scommessa. Ciò non significa affatto negare l’importanza di tutti i tentativi di attribuire un valore concreto, seppur discrezionale, al contesto aziendale, in genere in presenza di un’intenzione di acquisto. È un orientamento indispensabile per l’investitore-imprenditore, il quale poi, dopo laboriosa dialettica con l’aspirante venditore, concretizzerà l’intento su un prezzo più o meno vicino a quello teorico fornito dallo stimatore. In un solo caso il valore stimato diventa effettivo: quando compratore e venditore stipulano una “perizia contrattuale”, cioè si impegnano ad accettare il valore determinato dallo stimatore;
  • o non si tratta di un metodo, ma di un concetto non matematico, del tipo se un’azienda varrà di più domani rispetto all’oggi, significa che è in condizione di profittabilità. Se è così, sono inutili i richiami alle metodologie in uso, che hanno uno scopo unicamente valoristico.

Invece, si è voluto attribuire alla “teoria di creazione del valore” una valenza per entrambi gli aspetti. Ma sostenere che un’impresa aumenta di valore quando guadagna o, il che è lo stesso, che se guadagna (profittabilità) aumenta il suo valore, non è solo banale, è anche ingannevole, perché il valore lo fa il mercato quando è diffuso o la forza dei contraenti. Lo si constata in questi ultimi tempi in cui i mercati finanziari sembrano aver perso ogni orientamento e danno credito alla teoria  del caos deterministico: “una farfalla batte le ali nel Mar dei Caraibi e il giorno dopo si scatena un pericoloso temporale a Boston”. Basta verificare le quotazioni di borsa, soprattutto dei titoli bancari, alcuni dei quali sono quotati a meno del 50% del patrimonio netto contabile? C’è razionalità in questo comportamento? Se ci si affida alla teoria di creazione del valore, significa che in poche settimane, senza che nulla sia cambiato di ciò che è già risaputo, si è verificata una distruzione di valore di oltre la metà del patrimonio netto e, si noti, in presenza di bilanci chiusi in utile. Come è possibile? O meglio: come si spiega? Non cerchiamo spiegazioni nella teoria della creazione di valore.

In sintesi: l’equivoco può spiegarsi con una palese confusione tra fenomeni esogeni e fenomeni endogeni. I primi sono riferibili ad azioni e fatti interni all’impresa. I secondi sono causati da fatti generali esterni, su cui la singola impresa, ancorché di grandi dimensioni, può ben poco.

E, allora, è inutile gingillarsi con “creazioni o distruzioni di valore”, accontentiamoci di metodi consolidati per dare risposte teoriche; poi, in concreto, passiamo la mano a chi ha il muscolo per confrontarsi a “braccio di ferro”.

Ma si vorrebbe spezzare una lancia a favore della teoria di creazione del valore.

È innegabile che ogni cognizione volta a migliorare la sensibilità e la capacità di analisi di aspetti aziendali suscettibili di incrementare il valore di una universitas facti è benvenuta. La cultura economica non è mai sufficiente e non può rimanere ferma in un mondo di affari sempre più nervosamente dinamico. Oggi in tema di organizzazione, gestione e analisi contabile ne sappiamo più delle generazioni precedenti e il merito (o la necessità) deve essere riconosciuto anche all’università. Se la teoria del valore si innesta in questo processo accrescitivo della conoscenza, essa ha meritata cittadinanza. Il problema rimbalza però dalla teoria alla pratica e la domanda è: come il mercato delle imprese (borsa, compravendita di aziende) può essere in grado di tener conto della teoria della creazione di valore. Se la risposta è negativa, come è probabile, allora la teoria della creazione del valore è destinata a rimanere all’interno dell’azienda, come criterio di analisi critica di obiettivi mancati o di programmi futuri.