In campo alimentare si allunga l’elenco delle materie su cui l’Italia ha dovuto soccombere alle angherie di Bruxelles. L’ultima riguarda l’olio d’oliva, che non potrà più essere contraddistinto per la provenienza della drupa, ma per l’ubicazione della macina che la spreme. Finalmente anche i finlandesi potranno commerciare il “loro” olio d’oliva. Oddio… con la tropicalizzazione del clima, non è da escludere che la pianta sacra a Minerva potrà essere coltivata anche in Lapponia e consentire veridicità all’olio di Helsinki. Vorrà dire che i pastori del Molise per vendetta passeranno ad allevare renne, invece di pecore. L’Europa si costruisce anche così. Che cosa ne verrà fuori alla fine è tutto da ipotizzare. Già che ci siamo, i burocrati di Bruxelles potrebbero tenere corsi accelerati agli americani, per convincere i texani a trasferirsi tutti, armenti e petrolio, a Boston o ai ticinesi a migrare nei territori del Cantone di Zurigo per dedicarsi agli orologi a cucù. Da un colloquio madre-figlio in quel di Matera: D.: Mamma, che cosa hai preparato oggi per pranzo? R.: Un bel rosbiff di mucca pazza inglese, tesoro, cotto con margarina olandese di puro strutto del Brabante! C’è qualcosa che non convince fino in fondo. I patatoni di Bruxelles e i loro ispiratori crauti di Francoforte potevano almeno lasciarci il nostro olio, per rispetto al “gomito” che da millenni impieghiamo a produrlo