Il primo ministro (prego notare che ho evitato il termine albionico premier) in carica (non si sa per quanto) Mario Monti è un professore (da parecchi anni poco prof. perché non fa più lezioni universitarie), che si è rivelato un abile gestore del suo potere personale, consolidato in cariche pubbliche senza ricorrere al consenso della cabina elettorale. Almeno così dicono i suoi detrattori, che rilevano anche le sue sporgenze caratteriali e l’insofferenza per le critiche. Gli rimproverano anche, sempre i suoi detrattori, di essere privo di autoironia e di essere un gaffeur – e chi non lo è quando si sente in dovere di esternalizzare il suo pensiero? – al contrario del suo predecessore, che rivestiva le gaffe di barzellette, per il che nessun stupore in un paese che è una continua contraddizione antropologica e psicosociale.
Non ci associamo a esaltazioni né anatemi e riconosciamo che l’uomo è capitato nel tempo sbagliato, senza sua colpa, però cum gaudium. De gustibus!
Non facciamogli un processo, anche perché i processi si devono meritare!
Riconosciamo invece che l’eredità ricevuta era molto pericolosamente passiva: crisi finanziaria internazionale con pesante ricaduta sulla nostra fragile economia, prevaricazione della speculazione, giustizia allo sbaraglio, sanità poco sanitaria, fisco da sceriffo di Nottingham, pressione fiscale da caldaia in esplosione, arroganza insopportabile della pubblica amministrazione, partiti trasformati in bande, debito pubblico incontrollabile, spesa pubblica insostenibile ma impermeabile ad ogni controllo, disoccupazione crescente specie giovanile, interferenze dall’alto, incomprensioni europee, ecc. Tutti mali risaputi, risalenti e noti anche ai bambini, perché un paese allo sbando non può fingere di essere con “barra a dritta” e non può non ammettere il suo stato comatoso.
Però, se questo è il punto di partenza, resta il problema della terapia (la diagnosi era già stata fatta prima!) e degli obiettivi. Che medicina prescrive il grande medico? Incomincia dal fondo: aumenta la pressione fiscale, incrementando le imposte vigenti e inventando una nuova tassa ogni giorno, nel disperato tentativo di ridurre il debito pubblico. Sennonché il superesperto in economia monetaria ha dimenticato che in economia vige il principio delle esternalità e delle conseguenze inintenzionali delle azioni umane intenzionali e in particolare che il rientro del debito pubblico si può realizzare, a tempi medio-lunghi, solo incrementando il PIL al quale il debito si rapporta e che è l’unica vera e duratura base per il gettito fiscale. Diversamente calano i consumi, cresce la disoccupazione, perché molte imprese vanno fuori margine e il sistema economico finisce per avvitarsi su se stesso, soprattutto se il maggior gettito a brevissimo termine, ottenuto aumentando la pressione fiscale, invece di essere destinato al rimborso diretto del debito continua a foraggiare la spesa pubblica improduttiva. In compenso il governo spende in spot televisivi per far sapere agli italiani che se tutti pagano le tasse avremo migliori servizi! Roba da asilo infantile, che fa ridere gli evasori e fa schifare i tartassati, perché è risaputo che il bilancio statale, incentrato sulla spesa, più incassa e più sperpera.
Il risultato è ben descritto dalla contabilità pubblica: Pil in calo, debito pubblico in aumento, pressione fiscale sempre più insostenibile, disoccupazione crescente e soprattutto il più pericoloso degli effetti psicosociali: la perdita di fiducia nel futuro.
In questo labirinto il primo ministro lancia le sue previsioni, che suonano come gaffe: ce la faremo anche senza la Bce, nel 2013 saremo fuori dal tunnel, ecc.
Da qui la domanda suggerita dal buon senso: perché questo governo non “va a casa”? Perché in Italia la politica ha rinunciato al suo ruolo, non ci sono più veri partiti e ciò che resta dei tradizionali è in preda alla paura di nuove penalizzanti elezioni. Vien da parafrasare Hegel: un paese senza politica è come un tempio senza tabernacolo!