Non sapevo che il “niente” fosse, poiché ho sempre creduto, da insignificante discendente di Aristotele, che il “non essere non può essere”. Non che mi porti in saccoccia uno dei fondatori del pensiero occidentale, perché mi basta non dimenticare mai ciò che la più bella lingua-figlia del mondo ha ereditato dalla più bella lingua-madre dell’universo: il latino. “Niente” (ma è meglio pensare: ni-ente) viene da nihil ens; da cui, almeno per me, ciò che non è non può essere. Sbagliato, mio caro dialogante. Sbagliato almeno per Vittorio Sgarbi che, in un recente tentativo di intervista finito in rissa verbale, al petulante giornalista di “Striscia la notizia” che gli chiedeva spiegazioni e conferme della altissima percentuale, vicina al 100, delle sue assenze alle sedute del Parlamento, il nostro ha risposto, tra una contumelia riferita al sesso e un’altra a escrementi nemmeno interi, che lui, insomma, vota come gli pare, perché anche la sua assenza è una espressione di voto. Confesso che da quel momento, anche se non cesso di alimentarmi e svolgere tutte le altre funzioni quotidiane, la mia testa è andata in pappa, perché il concetto di ni-ente non quadra più. È pur vero che viviamo in un’epoca in cui – nonostante abbiamo ridotto la vita a un quiz: bianco o nero, sì o no, acceso o spento, vero o falso – tutto è possibile, perché ammettiamo pacificamente, persino nelle aule di giustizia, ove si dovrebbe cercare esclusivamente la verità, che il falso può anche essere vero, ma che un percepiente di compensi per vivere votando possa pretendere di essere riconosciuto votante anche quando non vota è veramente stupefacente. Probabilmente il nostro tuttologo quando marinava la scuola pretendeva di essere seduto nel primo banco ed è da lì che nasce la sua teoria, seguendo la quale anche un chirurgo che non frequenta la sala operatoria può pretendere di svolgere un accurato non-intervento, un giudice che non sta in aula può sostenere che sta facendo un non-giudizio, un assistente di volo può immaginare che gli aerei scendano e salgano con la sua non assistenza, e così via. Non so chi dia il suo voto al nostro critico d’arte nelle varie tornate elettorali; dubito che siano più quelli che amano il linguaggio da angiporto che i frequentatori di mostre di pittura, ma non è questo il punto, perché i voti sono anonimi, non si pesano ma si contano e basta che ci siano i numeri che uno vale l’altro. Però, se gli elettori di Sgarbi il giorno delle elezioni non andassero a votare, perché anche il non voto è un voto, che direbbe il parlamentare? Non avrebbe niente da dire, o meglio, continuerebbe a parlare, perché è arte che gli riesce molto bene, ma senza compenso del pubblico Erario. Torno a Cicerone e a Cesare: il nihil ens non ammette esistenza.