Non voglio parlare di calcio-sport, perché è morto. Mi riferisco al calcio-business, perché è solo economia e, come essa, va. I derby, che una volta accendevano passioni senza odio nelle città che potevano permettersi due squadre, sono un ricordo sempre più evanescente, lasciato alle figurine del sig. Panini più che alla memoria vera, quella commossa, che può dare una scossa allo spirito annoiato e abulico. Il calcio-business è altra cosa, è questione di costi e ricavi; di analisi costi-benefici; di sponsor e ritorni pubblicitari; di miliardi pagati per giocatori, che poi guardano le partite davanti alla televisione, ma sanno fare pubblicità; di quotazioni di borsa, che salgono o scendono secondo i goals fatti o subiti; di voti a presidenti che giocano a fare i politici, nonostante non riescano a capire nulla del gioco, che dichiarano di amare più delle proprie mogli (guardandole, potrebbe anche essere vero). Più che un calcio-business è un calcio-pattumiera. Prendiamo l’Inter, la squadra del fu Helenio Herrera, che oggi ha un giro di ricavi di 213 miliardi l’anno, ma non va neanche a spingerlo. Mi ricorda certe favole di Fedro e di Esopo, tnco il leone ferito e moribondo, che si becca un calcio dall’asino, che quando sua maestà era in salute tremava solo a sentirne pronunciare il nome. Dà sempre un ineffabile rincrescimento vedere un grande che rotola nella polvere, un nobile decaduto, un Napoleone sconfitto, anche se ti era inviso o anche solo antipatico. È difficile godere delle disgrazie di un grande. Fanno solo pietà; mentre quelle dei piccoli fanno ridere Perché? Inutile trovare spiegazioni, con tutti quei soloni televisivi, che danno a credere di essere esperti. Una ragione, piuttosto originale c’è. Quando vedo certe facce, che stanno interinalto, mi viene subito in mente la famosa novella “La patente” di Pirandello. Ma non è il solo riferimento, perché di buono, il calcio, un insegnamento lo potrebbe dare anche se non imitato: fermo lo stesso presidente, l’Inter in pochi anni ha cambiato nove allenatori. In quel club della pedata, un allenatore, anche se di professionalità comprovata da precedenti successi raccolti altrove, ha permanenza più breve della cameriera di colore. Ma perché non facciamo così anche con i politici e i governanti? Se non altro la rotazione terrebbe viva la speranza che il dopo sia meglio del prima.