La vicenda dell’Unità, il giornale che fu anche la bandiera rossa più sventolante del Partito Comunista Italiano e la più moscia dei Diesse, sembra giunta a conclusione. L’assemblea dei soci di “Nuova Iniziativa”, cioè Alessandro Dalai, ha deliberato di spendere i richiesti 30 miliardi per l’acquisto della testata e anche alla svelta per far tornare il foglio in edicola in tempo per la campagna elettorale. Sembra già chiara la linea editoriale: “un giornale di sinistra, liberal e radicale” di interesse nazionale. Proclami, programmi, intenzioni più o meno esplicite del nuovo editore, penso non interessino che i suoi soci, liberi di tassarsi come vogliono senza poter imprecare contro il ministero delle finanze. Così come non interessano le strategie di marketing, che, dati gli intendimenti dichiarati sull’orientamento del giornale, dovrebbero riuscire a riprendersi almeno 50mila lettori dalla “Repubblica” di Scalfari. Si dirà: 50mila sono tanti, ma è il minimo per stare in edicola e perdere alcuni anziché una barca di miliardi ogni anno. Gli acquirenti avranno fatto i loro conti. Sono gente del mestiere. Forse hanno già previsto quando fare il primo azzeramento del capitale per perdite, che, proprio per essere uomini del mestiere, scaricheranno come minusvalenze, fiscalmente deducibili, sui conti economici delle società socie di “Nuova Iniziativa”. Sarebbe un loro diritto. “La legge è legge” ed è uguale per tutti. Sta scritto anche sui muri delle aule di giustizia! Il problema, visto da chi ha ancora un qualche rispetto per la storia e la coerenza, è, invece, un altro. Un giornale non è solo un foglio di carta da gettare nella prima pattumiera alla fermata del tram, su cui sei riuscito a scorrere i titoli. Un giornale, anche quando è solo un “usa e getta”, ha un’anima, ha le anime di tutti coloro che lo scrivono, tanto più se è l’organo di un partito, che ha segnato un secolo di storia di un paese. Nell’Unità ci stavano anche altre anime, che magari non lo scrivevano, ma solo lo ispiravano o si limitavano a leggerlo. C’erano persino le anime dei nemici, che, in tempi di sana cattiveria ben preferibile all’ipocrita buonismo di oggi, avrebbero con ardore tagliato la testa, nel caso “la testata”. La differenza tra “nemico” e “avversario” è proprio qui. Il nemico, se ti vince, vuol mangiarti, come facevano certi popoli di religioni animiste; cannibali non per fame, ma perché assumere il cuore del nemico, specie se coraggioso, li faceva entrare in comunione con l’altrui valore. L’avversario, invece, è persino capace di andare al funerale e di pagare un necrologio. No! L’Unità non meritava di finire in mano a una società per azioni, il simbolo più odiato, non tanto del capitalismo, ma del borghesismo. E, se la nuova iniziativa avesse tanto successo da finire in borsa, sarebbe anche peggio. L’Unità che finisce al “parco buoi”! Ma dove siamo? Non sappiamo se Gramsci e Togliatti si rivoltano nelle tombe. Però immagino che, se potessero parlare, oggi, a una operazione di chirurgia estetica, che rende una vecchia ringiovanita meno accettabile di una “cara estinta”, avrebbero scelto la “sconfitta con l’onore delle armi”, che è l’unica vittoria del vinto. Invece, al povero vecchio marchio hanno negato anche questo. Hanno pagato 30 danari per la “testata”, perché si spera che il “valore commerciale” dell’unico bene di un giornale in fallimento possa rendere ancora qualcosa… per fare la campagna elettorale, dicono. Vedremo candidati democristiani sponsorizzati dall’Unità. Qui non solo Gramsci e Togliatti si rivoltano, ma anche De Gasperi e Sturzo; anime evocate per calcolo da tanti nipotini degeneri. C’è una fotografia nei libri di storia della Prima Guerra mondiale. Si vedono soldati che ritornano dalla prima linea e un brandello di muro con la scritta “meglio vivere un giorno da leone che cento anni da pecora”. Ma nessuno ci fa più caso. Stanno riscrivendo la storia, persino quella fotografica.