La droga della lettura

Sono tanti i tipi di droga. Ci sono: l’alcol, la cocaina, l’eroina, il sesso; ma c’è anche la lettura, che alla fine produce una erudizione da rivista di enigmistica o un mestiere per guadagnare il pane quotidiano, come per chi lavora per un editore. Ma c’è anche l’erudizione autoreferente. In questo caso, l’uomo finisce per avvitarsi su se stesso, per vivere da parassita delle idee degli altri, per autocompiacersi del proprio sapere, che non è sapere, perché non produce sapienza. Scrive Voltaire nella Prefazione al proprio Dizionario filosofico: «…il popolo non legge: lavora sei giorni alla settimana e il settimo lo passa all’osteria». Il lettore accanito è meno saggio del popolo di Voltaire, perché all’osteria almeno si ride, si scherza, si litiga, ci si ubriaca e in qualche modo ci si diverte. Invece, bisogna continuare a leggere il libro della natura e interpretare il proprio rapporto con ciò che ci circonda. Scopriremmo che da dietro un albero maestoso della immensa foresta, di sottecchi ci osserva con prudenti occhi da spia, per subito ritrarsi,  il panteista Spinoza o l’ipercattolico Pascal.

Però, bisogna essere giusti: non tutte le letture sono deteriori o sterili, perché ci sono anche letture, ma direi lettori, che, non accontentandosi dell’apparenza spesso ingannevole delle parole, scavano nel profondo nel tentativo di svelare ciò che sta dietro il sipario. Ricordo il consiglio, ma è una raccomandazione, di Jorge Luis Borges, il grande letterato argentino, che imparò la lingua italiana leggendo Dante. Scrive nei “Nove saggi danteschi”: «Voglio solo insistere sul fatto che nessuno ha il diritto di privarsi della gioia della Commedia, della gioia di leggerla in modo ingenuo». Leggere in modo ingenuo significa abbandonarsi all’effetto della lettura genuina, che è la fonte del pensiero. La vera lettura è l’incubatoio del pensare.