Nonostante lo stile ironico, talvolta canzonatorio, sempre calato, almeno nelle intenzioni, in una prospettiva di satira, che è l’unica arma contro il conformismo tartufesco e il buonismo ipocrita di questa epoca vuota, incapace di amare e di odiare con franchezza, il “dialogo” vorrebbe essere una raccolta di “schizzi” seri, senza essere seriosi. Per questo, tratta la scienza con grande rispetto, la filosofia con amore (se no che “sofia” sarebbe mai?), la religione con devozione. La massima “cura” (nel senso di Heidegger) è volta a portare una piccola goccia nel mare piuttosto asciutto di una “nuovo umanesimo”, che rivitalizzi l’uomo nel suo esistere, ma anche nella coscienza del suo essere. Se questo è l’intento, è costante la preoccupazione di verificare se il risultato vi corrisponde. Non vi sono certezze, anche se l’onestà intellettuale è una lanterna di Diogene, fioca, ma non priva di una sua luce “buona”. Così ogni “schizzo” nasce sullo stimolo di ciò che è vero o almeno appare tale, ma non basta: anche “dopo”, continua il processo di verificazione, seguendo il consiglio di Popper, perché, se vi fossero errori, sarebbe doverosa una rettifica. È pur vero che il lettore può dimenticare, l’autore mai. Ho prove documentali di un attacco scritto al “dialogo” da parte di un supponente e distratto lettore (supponenza e distrazione sono in rapporto causa-effetto) che, nonostante esibisca l’appellativo “prof” come una decorazione della “Giarrettiera”, riesce a dimostrare di non aver capito nulla. Ma su questo punto si dovrà ritornare, perché la verità corre ogni momento il rischio della mistificazione, l’intelligenza no. Dobbiamo a Platone la distinzione tra verità e opinione (doxa) e – poiché ben conosco l’incertezza di questa – sottopongo a verifica anche “schizzi” dimenticati dal lettore. In una “Figurina” del 13 ottobre 2000 con titolo “Scienza e coscienza” ho criticato l’entusiasmo con cui il premio Nobel Rita Levi Montalcini, plaudendo ai due nuovi Nobel per la medicina, ha preannunciato che, dopo il DNA, “il prossimo sviluppo sarà andare alla ricerca dei meccanismi della coscienza”. Che un supponente biologo possa leggere con il suo microscopio il mio DNA, passi, ma che mi venga a dire che allo stesso modo potrà essere scandagliata la mia coscienza, non l’ho proprio accettato. Mi pareva un’offesa alla parte migliore del mio essere uomo, un attentato al mio spirito. E si noti che non ho tirato in ballo la religione cattolica. Anche un ateo potrebbe rifiutare il positivismo, lo scientismo e la pretenziosità degli scienziati, che giocano all’apprentice sorcerer. Il 23 ottobre si è letto sulla stampa che a Londra un neuropsichiatra e un ricercatore clinico ospedaliero, scettici per natura e per scienza in loro dominante, hanno esaminato le reazioni di 63 pazienti “ridestati” dopo un arresto cardiaco. La loro conclusione è che la coscienza potrebbe non essere prodotta dal cervello, per cui “se la mente e il cervello sono indipendenti, allora la coscienza sopravvive al corpo”. È poco probabile che i due studiosi inglesi verrebbero insigniti del Nobel, che è un premio dato solo a chi afferma, mai a chi critica o nega. Ma questo non significa nulla. Anche il Nobel non significherebbe nulla, se persino la nostra coscienza morisse con noi. La signora Levi può stare tranquilla. Se saprò qualcosa di nuovo lo dirò, anche se fosse a favore della sua tesi e questo non perché me lo dicono i “neuroni” della scatola cranica, ma per un imperativo della “coscienza”, quella che se metti un vetrino sotto il microscopio non la vedi, ma… esiste.